IL PIÙ GRANDE DIBATTITO DI SEMPRE SUL CENTRO SINISTRA DI FERRARA

Abbiamo chiesto a queste 71 persone di rispondere a 2 domande:

  1. Nel 2019, dopo 73 anni il centro sinistra perde le elezioni. Quali le cause recenti e remote?
  2. Ora, come organizzare il centro sinistra a Ferrara?


ALVISI ANGELA

SERVE UN NUOVO CENTRO SINISTRA CON UN PROGETTO CULTURALE ED ETICO OLTRE CHE POLITICO

Provo a rispondere alla questione posta consapevole della sommarietà dell’analisi: infatti la perdita di “luoghi politici” nei quali collettivamente analizzare e valutare, ricade su ciascuna e ciascuno di noi in modo negativo.

Non si tratta di una sconfitta NON annunciata; si inquadra all’interno di un processo di alcuni decenni durante i quali è mutata in modo strutturale la società in cui viviamo. Una rivoluzione che sul piano globale è paragonabile al passaggio alla manifattura e poi al sistema industriale.

Un merito storico del capitalismo sta nella sua capacità di aver accelerato in modo straordinario lo sviluppo delle forze produttive creando le basi per una più ampia soddisfazione dei bisogni elementari e di coinvolgere parti del pianeta nel circuito dello sviluppo: istruzione, mobilità, socializzazione del lavoro. Vi è stata una effettiva crescita del benessere e talvolta anche una riduzione delle disuguaglianze. La fase capitalistica avanzata ha forse coinciso con il periodo in cui il movimento operaio ha trovato terreno fertile per le proprie lotte. E, in relazione a ciò, in certi momenti è sembrato, anche nella sinistra, venir meno la necessità di un mutamento di sistema.

Poca attenzione è stata posta, da parte di segmenti importanti della sinistra, non solo italiana, al fatto che nel momento in cui la capacità produttiva sembrava soddisfare i bisogni elementari attraverso la spinta al consumo e l’imposizione a livello globale di specifici modelli di consumo, individualizzando sempre di più il processo, alcuni bisogni fondamentali, assolutamente prioritari: salute, istruzione, qualità dell’organizzazione urbana, qualità dell’ambiente, servizi sociali, per il fatto stesso che possono essere soddisfatti nella forma di produzione e consumo collettivo, sono rimasti marginali e insoddisfatti. 

L’esplodere della crisi economica del 2008 connessa alla ristrutturazione produttiva in atto: globalizzazione, finanziarizzazione dell’economia, spostamento del potere decisionale in ambiti sovranazionali che non corrispondono alle istituzioni europee o mondiali, decentramento della produzione e delocalizzazione alla rincorsa dei costi minori = annullamento dei diritti del lavoro in molte parti del mondo, spezzettamento dei processi produttivi con esternalizzazione di gran parte del no-core, ecc., ha determinato l’esplodere della disoccupazione di massa, del precariato, dello sfruttamento e di forme di schiavitù. Con una polarizzazione del mercato del lavoro che da un lato necessita di alte ed altissime professionalità con un elevato livello di competenze e istruzione, dall’altro ricerca manodopera basica da impiegare negli ambiti della produzione a basso valore aggiunto. 

Il salto tecnologico orientato al risparmio di forza di lavoro, il declino irreversibile di settori produttivi tradizionali (siderurgia, petrolchimica…), l’estinzione delle vecchie professionalità e ruoli che procede più velocemente della creazione di nuovi, hanno determinato profonde modificazioni nel mercato del lavoro.

Infatti parte crescente della popolazione non trova lavoro stabile, parte della domanda di lavoro a basso valore aggiunto non viene soddisfatta se non da immigrati, e non si tratta di una questione congiunturale. 

Si pone pertanto una grande QUESTIONE DEL LAVORO: diviene strategico il tema della redistribuzione del lavoro e la sua qualità.

SVILUPPO E NATURA: siamo di fronte ad un disastro ambientale che non riguarda solo le aree sviluppate del pianeta ma anche le aree arretrate dove gli effetti si accentuano a causa dell’effetto congiunto della pressione demografica e della disgregazione del sistema fondato sull’autoconsumo: è un disastro figlio sia dello sviluppo e sia del sottosviluppo.

La connessione tra questione ambientale e situazione sociale pone il problema di un cambiamento nel modello di sviluppo e di una diversa qualità dello sviluppo.

La logica capitalistica, ancorché globalizzata, porta a concepire la produzione come produzione di merci e a calcolare la produttività in ristretti limiti temporali e dentro il processo produttivo in senso stretto, espungendoda sé i COSTI INDIRETTI e di lungo periodo: consumo delle risorse, consumo del territorio, inquinamento ambientale, desertificazione ed emergenza climatica, forte incremento delle diseguaglianze, flussi migratori senza precedenti, squilibri demografici, ecc.

La questione ambientale offre alla sinistra un terreno fondamentale su cui fondare una critica del sistema e una spinta alla trasformazione che la può portare a superare i limiti dell’economicismo.

Al contempo la questione ambientale necessita di un progetto e di una forza organizzata capace di unire soggetti ed interessi anche contrastanti per individuare la radice dei problemi e le possibili soluzioni in termini di cambiamento e trasformazione. Soluzioni che devono comprendere anche il piano culturale: parte fondamentale di questo cambiamento è il cambiamento che attraversa le persone.

LA SINISTRA – LE SINISTRE – LE FORZE DEMOCRATICHE

Sui versanti sopra tratteggiati possono sorgere molte ragioni di critica alla società in cui viviamo facendo leva sui bisogni mortificati dal modello di consumo, sull’infelicità diffusa, sulle crescenti diseguaglianze, sulla preoccupazione per il futuro del pianeta e la sua sopravvivenza. 

Il bisogno umano, oltre la soglia della necessità, è prodotto e specchio delle relazioni sociali; una società individualizzata, parcellizzata (a partire dal lavoro), nella quale l’istruzione ha perso rilevanza, nella quale gli intellettuali perdono autonomia, nella quale gli schemi di relazioni interpersonali si disgregano, per sua natura produce un soggetto incapace di esprimere bisogni qualitativamente ricchi, che vadano oltre la sfera di una semplice moltiplicazione del consumo materiale.

La sinistra – le sinistre – le forze democratiche sono attrezzate ad affrontare tali questioni non sul piano economicistico bensì su quello di una solida cultura politica convinta dell’inevitabilità del cambiamento?

Convinzione molto diffusa nei partiti della sinistra è che sia necessario governare/amministrare, impossibile modificare radicalmente, in questa fase storica /in futuro?, il sistema economico-sociale.

Altro aspetto della fase che attraversiamo è dato da una crescente e strutturale IRRILEVANZA DELLA POLITICA che è ormai divenuta il supporto amministrativo di un potere che è altrove.

La gente dà sempre meno credito alla politica, sentita estranea e corrotta, quindi inutile anzi dannosa.

LO STATO DEMOCRATICO RAPPRESENTATIVO appare gradualmente trasformarsi in una apparenza dietro la quale opera tutt’altro potere di fatto.

Quali le cause? Certamente vi è l’inefficienza della macchina amministrativa troppo cresciuta e burocratica con conseguente difficoltà se non paralisi delle decisioni della politica.

Ma vi sono fenomeni che nascono dal processo di globalizzazione dell’economia e dei soggetti che la governano: la finanza, le grandi imprese multinazionali, i centri internazionali di direzione, politici ed economici.Sono strutture organicamente autonome da ogni forma di controllo o di influenza democratica perché le istituzioni (Parlamenti democraticamente eletti) che dovrebbero garantire tale rapporto non hanno potere reale su di esse. I loro centri decisionali sono ristrette oligarchie economiche e tecnocratiche cui si contrappongono popoli frantumati da storie nazionali e divisi da interessi locali.

Per contrastare questo trasferimento di potere reale, gli Stati democratici dovrebbero mettere in campo una volontà forte.

Ma il declino della grande fabbrica, la segmentazione delle figure professionali, l’iniqua distribuzione del reddito, l’ingiustizia sociale concentrata in settori e zone marginalizzate e subalterne con conseguente conflitto sempre meno unificato ed evidente, tutto ciò toglie alla democrazia politica il soggetto coeso e organizzato che alcuni decenni fa ha animato la politica e la democrazia.

Una informazione poco autonoma e manipolabile, una coscienza politica offuscata dall’eccesso di stimoli confusi, la crisi delle ideologie connessa ai profondi mutamenti intervenuti, il declino di partiti capaci di mediare e unificare gli interessi in una cultura ed in un progetto di cambiamento, lo strutturarsi di un “mercato” tra la società corporativizzata e un ceto politico che scambia consenso con tutele e favori, sono altri elementi che si aggiungono ai precedenti.

La democrazia senza egemonia diviene rito, degenera, al più limita il suo orizzonte alla buona gestione amministrativa di compiti e obiettivi che non è essa a determinare.

SI PONE LA NECESSITA’ DI UN SOGGETTO POLITICO COLLETTIVO capace di analisi critica e quindi di elaborare e condividere un progetto complessivo e di lungo termine e capace di promuovere una riforma culturale e morale anche tra coloro che vogliono cambiare la società ma sono schiacciati dai suoi meccanismi.

In Italia l’evoluzione dei partiti storici della sinistra, attraverso vicende alterne che qui non interessa valutare, ha portato a forme definite PARTITO LEGGERO che presentano forse qualche vantaggio ma anche conseguenze deleterie:

  • sopperisce alla fragilità dei suoi legami di massa e alla precarietà del suo tessuto culturale con una forte accentuazione del ruolo personale del leader,
  • è gestito da apparati di potere che son rimasti gli stessi,
  • deve costruire il consenso con l’uso dei media e mediando corporazioni varie, buone e cattive,
  • causa passivizzazione della base sociale = assenteismo al suo esterno ma anche al suo interno,
  • costruisce un tipo di consenso che non regge alle prove di governo più ardue.

Certo, serve anche un/a leader: la questione del “capo” fu posta nei lontani anni ’20 da Gramsci, ma in termini non personalistici e soprattutto pensando ad una leadership collettiva.

La leadership personale ha una sua forza utile ad inseguire gli umori mutevoli, ma ha il grandissimo limite che è nevrotica, fragile, è sottoposta agli umori del capo.

La sfida principale di un soggetto politico dovrebbe essere quella di cambiare le condizioni materiali e sociali delle persone che vuole rappresentare attraverso la politica; ma ciò avviene se tale soggetto/partito rende evidenti i valori di riferimento e la propria rappresentanza, agisce con radicalità nel senso della capacità di affrontare alla radice le questioni ed in termini di sistema (visione), non perde l’autonomia e alimenta l’agire politico collettivo nutrendosene.

E’ il modo per sollecitare la partecipazione, altro elemento fondamentale dell’agire politico, che non può essere espressa solo attraverso il voto: il voto non può sostituire l’azione politica soggettiva; e la partecipazione non può essere scambiata con il rispetto delle regole e il consenso da dare alle decisioni già prese. La pratica della partecipazione e dell’agire politico collettivo costituiscono di per sé fattori di trasformazione del sé e del mondo. Creando convivenza e senso.

Tutto ciò non nega la necessità e capacità di mediazione con le Istituzioni ai diversi livelli.

Infine un accenno alla politica dei diritti: sono stati compiuti passi importanti sul terreno di alcuni diritti civili ma ciò non può sostituire una visione generale del cambiamento; la politica dei diritti può anche risultare divisiva: i diritti dell’embrione, della donna, della madre, del padre… 

Un partito/soggetto politico deve avere una visione chiara del progetto complessivo di trasformazione e cambiamento che propone, dell’idea di società e di mondo che persegue e deve renderli evidenti e non appannarli per creare alleanze politicistiche = di potere come ormai avviene da tempo con conseguente e profonda disaffezione da parte delle persone. E all’interno di questo quadro (progetto – idea) si devono incardinare anche le politiche dei diritti.

FERRARA

La sconfitta epocale nelle elezioni amministrative del 2019 a Ferrara sta dentro questo quadro sommariamente descritto, ma c’è di più!

Premetto la stima personale che nutro nei confronti di alcuni ed alcune delle persone che hanno rivestito ruoli anche primari nella precedente Giunta e Consiglio cui le valutazioni che esprimo nulla tolgono.

Il quadro che ho delineato sul piano generale/nazionale è quello nel quale si incastona l’esperienza amministrativa comunale ferrarese. Una esperienza che negli anni è andata piegandosi sulla gestione amministrativa, con poca visione generale, del ruolo da assumere sul piano del rapporto con gli altri Comuni della Provincia, del ruolo da giocare anche nell’ambito regionale.

A questo si aggiungono le specificità del territorio: più fragile rispetto al resto della Regione, con un tessuto produttivo meno sviluppato, con pochissime aziende medio-grandi ed una miriade di piccole e piccolissime imprese; un territorio con un grado di invecchiamento molto elevato e con un basso tasso di natalità, debolezza della scolarizzazione, bassa propensione a fare sistema, ecc.

Infine, anche per queste ragioni, su questo territorio la crisi ha picchiato più forte che altrove proprio perché più fragile, perché su questo territorio si è avuto il fallimento della Cassa di Risparmio con conseguenze non gestibili sul piano locale ma che su di esso hanno inciso pesantemente.

Non credo abbia senso esemplificare le criticità che di seguito enumero, credo siano problemi che riguardano la classe dirigente locale come quella nazionale, con alcune accentuazioni locali. 

A Ferrara è da tempo invalsa la convinzione che negli anni si è andata definendo una sorta di occupazione di ogni settore e luogo di potere/gestione della città da parte del ceto politico che, attraverso le diverse fasi di cambiamento del partito principale, l’ha da sempre governata; e questo pensiero accomuna larghe parti di cittadini e cittadine che per storia, cultura e scelte politiche farebbero riferimento alla sinistra o al centro-sinistra. Persone che hanno deciso di non votare nonostante il rischio concreto della vittoria della Lega e del centro-dx.

La stessa difficoltà a decidere quale potesse essere il candidato o la candidata per il centro-sinistra e la vana ricerca di una figura esterna all’entourage degli amministratori uscenti la dicono lunga sul deteriorarsi del rapporto e delle relazioni con l’”esterno”, sebbene questo esterno in cui cercare risultasse vicino politicamente alla giunta uscente.

I nodi, le carenze, gli errori che individuo sono i seguenti:

  • Autoreferenzialità e autosufficienza del ceto politico/amministrativo
  • Invisibilità del progetto politico delle forze della coalizione
  • Mancanza di contatto e quindi di lettura del territorio
  • Abbandono di parti di territorio (frazioni)
  • Rapporti preferenziali con soliti esponenti di settori delle professioni, produttivi e associativi e conseguente senso di esclusione dalla cerchia “assistita” da parte degli altri
  • Valutazioni ideologiche di fenomeni problematici (la questione della “percezione” errata in Gad)
  • Disattenzione alle tematiche sociali e sotto-finanziamento dei servizi sociali in una fase di profonda crisi economica
  • Ruolo marginale giocato nell’ambito delle politiche sanitarie
  • Carente informazione e valorizzazione dei risultati conseguiti in diversi ambiti
  • Gestione inadeguata della comunicazione
  • Insufficiente sviluppo ed efficientamento della macchina amministrativa comunale e delle nuove tecnologie
  • Carenza delle politiche di valorizzazione e crescita delle competenze del personale

Prima di vincere a Ferrara, la dx a trazione leghista aveva già vinto in abbondanza negli anni precedenti in diverse Regioni e Comuni, una crescita progressiva avvenuta attraverso un forte investimento sulla paura (immigrazione – insicurezza sociale – impoverimento del ceto medio e degli operai, perdita di identità…) ma ha vinto anche attraverso un rapporto stretto con le persone e i territori ed ha saputo cogliere la rottura sentimentale e culturale tra mondo operaio e sinistra.

Stanno molto anche qui le accentuazioni delle criticità che rilevo nella coalizione di centro sinistra che è stata sconfitta nel 2019. 

E’ necessario fondare un nuovo centro-sinistra con un progetto culturale ed etico oltre che politico, riunire le energie democratiche, rappresentare politicamente quei tanti e quelle tante che non si sono più sentiti e sentite rappresentati/e o quantomeno non del tutto.

C’è bisogno di radicalità, che è altro dall’estremismo, radicalità che significa affrontare le grandi questioni alla radice, in termini di sistema (come ho già detto).

C’è bisogno che la politica torni ad avere un orizzonte “generale” e non sia rivolta alle corporazioni di turno, e torni ad essere “di servizio” e non al servizio della personale posizione.


BARALDI ILARIA

SERVONO UN PROGETTO NUOVO E UNA RELAZIONE CREDIBILE CON CHI ABITA OLTRE IL CENTRO STORICO

Accolgo positivamente ogni tentativo di aprire nuove strade di confronto, anche se credo che rispondere per iscritto a due domande difficilmente rientri nella categoria del “dibattito”; confido che il contributo di coloro che hanno risposto e risponderanno sia l’occasione per iniziare un confronto costruttivo ed efficace, rivolto cioè al futuro e all’esterno, che coinvolga attivamente le cittadine e i cittadini, veri protagonisti di questa storia.
1.
Le cause per le quali si perde dopo 70 anni sono molteplici. La prima è certamente una causa probabilistica: maggiore è il tempo dal quale un territorio è governato da uno “schieramento” (ammesso che si possa fare un tutt’uno delle forze politiche, dei partiti e degli schieramenti che dal dopo guerra al 2019 hanno governato Ferrara, e io ho dei dubbi che l’operazione riesca), più alte sono le probabilità che le persone sentano il desiderio, legittimo, di provare altro, la necessità di cambiare.
Sul perchè si sia perso proprio nel 2019, tento una sintesi di concause recenti, che hanno avuto impatto sulla realtà specifica di Ferrara, tralasciando le cause remote che investono la crisi della sinistra (non solo ferrarese) – peraltro già tracciate in altri condivisibili interventi – che non mi avventuro qui a sondare.
Nella primavera del 2019 spirava fortissimo il vento leghista, intriso di populismo e carico di xenofobia.
A distanza di poco più di un anno – e con tutto ciò che è successo nel frattempo – tendiamo ora a rimuovere la forza con la quale Salvini, prima del suicidio (politico) al Bagno Papeete, trascinava ogni discussione a suo vantaggio, trasformando ogni evento, nazionale o internazionale, in argomento elettorale. All’epoca era al governo, ma il suo atteggiamento non era certo quello di un Ministro degli Interni, bensì quello di un aizzatore di folle a caccia di consenso.
Il cavallo più veloce della scuderia di Salvini e della Lega è sempre stato “prima gli italiani”, con le varie declinazioni di difesa dei confini, il mondo diviso tra noi e loro, e quindi l’Italia (e il lavoro, la casa, i servizi, financo la vita) agli italiani, con conseguenti derive di xenofobia e razzismo, tenute vive da una comunicazione social (e un buon numero di fake news) che per dimensione e tipologia non ha ancora trovato rivali.

Quel messaggio é stato declinato localmente e, con l’aiuto della semplificazione di alcuni concetti ripetuti all’infinito (le case popolari vanno agli immigrati, i posti all’asilo vanno ai figli degli immigrati, noi paghiamo la sanità anche per gli immigrati…), ha attecchito in profondità maggiore nelle comunità economicamente fragili, con una popolazione prevalentemente anziana, sulle cui comprensibili paure una parte politica ha fatto spregiudicatamente leva.
Questo elemento mi pare assente dalle analisi fin qui pubblicate, ma sottovalutarlo rischia di inficiare qualsiasi ulteriore analisi.
Ferrara ha sommato a questo dato esogeno, ma ineludibile, alcune caratteristiche peculiari che l’hanno resa più esposta di altre realtà e ne hanno fatto il terreno ideale per l’attecchimento della pianta leghista.

Un tessuto economico molto fragile, a basso impulso imprenditoriale, anche per caratteristiche storiche, non risparmiata dalla crisi economica del 2008, cui si è aggiunta la devastante vicenda Carife, che ha coinvolto migliaia di famiglie ferraresi, privandole dei loro risparmi, ma anche moltissime aziende, oltre alla cassa di risparmio stessa, che in pochissimi anni ha perso centinaia di dipendenti e generato un danno enorme a tutto l’indotto che ruotava attorno ad essa.
Di questa pur gravissima e dolorosa vicenda si sono sottovalutiate le conseguenze politiche, che il PD ha pagato più volte nelle urne.
Il mio giudizio è che non potesse essere diversamente.
Credo che il bail in sia stato un grave errore, sia in termini economici che politici (impedire il fallimento di una banca territoriale significa far fallire un territorio intero). Questo nè la politica locale nè quella nazionale nè quella europea lo hanno capito, quanto meno allora. La “banca” non è una impresa come le altre: raccoglie e presta denaro, investe, o dovrebbe investire, sul territorio di raccolta. Che Carife sia stata gestita in modo pessimo è indubbio, ma anni di commissariamento e di vigilanza rinforzata non solo non hanno aggiustato il tiro ma hanno sfiancato una realtà indebolita.
Per quanto la banca fosse in gravissime condizioni, a seguito di una politica di espansione sproporzionata e di una gestione sulla cui opportunità e legittimità prosegue un iter giudiziario a carico degli amministratori, fu con il governo Renzi che si decise l’anticipo del bail in, nel quale ricadde, pur non presentando le medesime caratteristiche delle altre tre banche coinvolte, anche Carife.
Per anni il PD ha sostenuto la giustezza dell’azione e della linea del governo.
In pochi, troppo pochi, furono dalla parte dei ferraresi – tra questi, l’allora sindaco Tiziano Tagliani – evidentemente inascoltati, nonostante fossero ferraresi e democratici un ministro del governo e il consulente economico del primo ministro.
Chi ha perso tutti i suoi risparmi in quella vicenda non poteva, al di là delle vicende giudiziarie ancora in corso, al di là delle successive operazioni pur lodevoli per ristorare con rimborsi chi aveva perso i propri risparmi, promosse e sostenute da amministratori locali e nazionali PD, non imputare la vicenda alla classe dirigente che governò un processo che per obbligazionisti, azionisti, dipendenti ha di fatto impedito alla banca cittadina di essere “salvata” tramite un percorso già approvato, come era avvenuto prima in altre occasioni del tutto simili e come è tornato ad accadere successivamente per altri istituti.
Per moltissime persone l’aver perso il lavoro, la propria professionalità, i propri risparmi, o per le aziende l’aver dovuto rientrare velocemente delle esposizioni con la banca creditrice, o non aver più avuto accesso al credito, ha comportato da un lato una difficoltà economica in alcuni casi fatale, dall’altro, una comprensibile rabbia prodotta da un senso di ingiustizia per essere stati lasciati soli.
Con la scomparsa di Carife si è persa anche una conoscenza economica e finanziaria del territorio e dei suoi attori; ora il credito viene erogato, con difficoltà, da persone e da banche che spesso conoscono poco il fragile tessuto economico ferrarese.
Esperienze simili non si dimenticano, nemmeno dopo una pur doverosa razionalizzazione delle cause e degli effetti e delle possibilità che si sarebbero effettivamente potute perseguire.

Altro grande fattore di allontanamento dei cittadini dall’amministrazione (e quindi dal partito che la esprimeva) è stato il tema della sicurezza, sul quale si è giocata gran parte della campagna elettorale (non solo locale).
Si sono spesi fiumi di inchiostro e quintali di battute sulle percezioni, sul fatto che il PD derubricasse fatti gravi a quisquilie e la paura crescente dei cittadini a mancanza di equilibrio.
Se è andata così, è evidente che qualcosa non abbia funzionato e, avendo gli elettori sempre ragione, sarebbe una fatica di Sisifo ritornare ancora sul tema e ribadire la necessità di una lettura comparata dei dati sulla criminalità, il fatto che non esiste approfondimento tematico nel quale non si distingua tra sicurezza reale e sicurezza percepita, la necessità di distinguere tra compiti di una amministrazione e doveri delle forze dell’ordine, tra legislazione nazionale e ambiti comunali, ricordare le energie e le risorse investite nel quartiere Giardino, a partire dalla necessità di restituirgli i suoi confini reali, il suo nome e la sua dignità.
Se, come credo, molta parte delle ragioni per le quali abbiamo perso stanno qui, devo dire che senz’altro abbiamo sbagliato, limitandomi a ribadire che lo spaccio non lo si combatte senza una revisione della normativa nazionale e che la rigenerazione urbana – come qualsiasi altro processo culturale – è un percorso per il quale occorrono tempo, risorse pubbliche e private ma che non parte nemmeno se non ci sono una forte volontà politica e persone competenti che sanno come progettarla e accompagnarla.

A tutto ciò si aggiunga la progressiva perdita del contatto col territorio sia dell’amministrazione – a causa, anche, della soppressione delle circoscrizioni, non sostituite da altro strumento di presidio non centralizzato – che del partito democratico – per ragioni che tratterò volentieri in altra sede, in parte legate alla progressiva coincidenza del partito con l’amministrazione, schiacciamento penalizzante per il primo  – cui ha corrisposto una inversamente proporzionale presenza sul territorio della Lega o, per meglio dire, del suo uomo di punta, ossia Nicola Naomo Lodi, al quale va riconosciuto di aver eccezionalmente investito il suo molto tempo libero nell’ascolto dei cittadini e dei loro problemi e nell’aver promesso di risolverli. Il tempo potrà dire se saprà mantenere le promesse, e come, ora che è vicesindaco.

Concludendo, penso abbia vinto un messaggio di chiusura e di ritorno al vecchio mascherato da novità. Ha vinto anche perchè non siamo riusciti a contrapporgli un messaggio convincente, e univoco, non essendo stati in grado di garantire quel quid di cambiamento, in un momento in cui tutto lo chiedeva.

Pur avendo capito che una stagione politica era finita, non siamo riusciti a offrire lo spunto per iniziare quella successiva.

All’epoca delle elezioni ero consigliera comunale da un mandato e segretaria dell’unione comunale del pd, quindi un pezzo di responsabilità della sconfitta è certamente mia.

Si è parlato di autoreferenzialità del pd e di incapacità di aprirsi alla società civile.
Dopo aver vivisezionato il pd spero resti tempo per parlare della società civile e delle candidature che ha saputo proporre e del perchè su nessuna di esse vi sia stata convergenza, pur al di fuori del pd e nonostante la riconosciuta disponibilità iniziale del pd stesso ad essere parte e non protagonista assoluto di un percorso collegiale.

Mi pare che da un anno e mezzo a questa parte non sia cambiato nulla. Mi pare cioè che una parte della sinistra, quella che non si sentiva e non si sente rappresentata nè rappresentabile dal pd, stia aspettando che il PD si prostri oltre ogni ragionevole dubbio per ammettere di essere stato, da solo, la causa della sconfitta, per come ha governato nelle ultimi decadi e per come ha affrontato la campagna elettorale.

Mi pare soprattutto che mentre da un lato si imputa al pd un egotismo e una autoreferenzialità esiziali, dall’altro non si voglia fare a meno di aspettare che sia il pd a fare il primo passo, a fare qualcosa, ad avere una classe dirigente all’altezza delle aspettative, a proporre un nuovo percorso. Da un lato si chiede al pd di scansarsi, dall’altro lo si sollecita continuamente a fare qualcosa.

Delle due l’una.
Finchè non si scioglierà questo nodo, non si potrà cominciare a ragionare lucidamente sul presente e sul futuro, per rispondere alla domanda numero 2.

Occorre che ciascuno faccia la sua parte: il pd e il resto del centro sinistra.


2.

Servono un progetto nuovo e persone in grado di riallacciare una proficua e credibile relazione con i cittadini oltre il centro storico, nei quartieri e nelle frazioni, dove ci sono problemi ma anche dove vanno portate alla luce le opportunità.

In questa direzione, gli strumenti della cd cultura diffusa possono tantissimo, e non importa se non sono riconducibili ad una parte politica, anzi, meglio. Prima di arrivare con una proposta politica, in molte zone va riparata una lacerazione e va ricostruito il senso di comunità, di vivere gli spazi pubblici, di come occuparli nel rispetto reciproco.

Si può creare un nuovo spazio politico solo se torneremo ad essere riconoscibili – quindi fisicamente presenti –, credibili – quindi con una storia politica coerente e limpida -, proattivi – con proposte innovative ma credibili, non semplici raccoglitori di lagnanze -.

Fare politica non è questione di poca cosa: serve passione, serve tempo, serve fatica fisica e, ovviamente, servono competenze. In questo mix necessario di esperienza e novità occorre creare lo spazio perché alle persone torni la voglia di appassionarsi alla cura della propria città, anche attraverso l’impegno attivo e concreto. Occorre cioè ridare dignità al “fare politica”, in senso opposto alla storia recente.

Ferrara, 29 settembre 2020


BARATELLI FIORENZO

PER RISALIRE DAL BARATRO SERVE FARE IL CONTRARIO DI CIÒ CHE STA FACENDO IL PD

Intervenire tra gli ultimi vuol dire ripetere cose già dette bene, ma può essere che tra gli obiettivi di questa ottima iniziativa promossa da Mario Zamorani ci sia anche quello di verificare delle costanti presenti negli interventi. La sconfitta del centro-sinistra e la vittoria della Lega a Ferrara va considerata epocale. Per questo motivo non è impresa facile individuarne cause e responsabilità. Innanzitutto non va scaricata l’intera colpa sulle ultime amministrazioni di centro-sinistra che hanno governato la città. La mia opinione, in estrema sintesi, è che la crisi della sinistra e del suo maggior partito inizia nel decennio degli anni ottanta e ha come culmine simbolico il Palazzo degli Specchi costruito dal mafioso Graci. Non bisognerebbe dimenticare che nel 1981 esce la famosa intervista di Scalfari a Berlinguer sulla ‘questione morale’. Il segretario del Pci denunciava il degrado dei partiti, delle istituzioni e difendeva la ‘diversità’ dei comunisti. Ma a Ferrara non era più così. Ne abbiamo parlato in tante sedi e scritto tante volte che non è il caso di ripetere argomenti e riprendere polemiche su questo fatto gravissimo. Mi basta ricordarlo perché, a mio parere, segna l’inizio del declino morale e politico del Pci sia a livello politico che a livello amministrativo. Per li rami , attraverso esperienze politiche nuove (fine del Pci e nascita delle formazioni successive: Pds, Ds, Pd) e mediante diverse amministrazioni della città siamo arrivati all’epilogo della grande sconfitta nelle ultime elezioni amministrative. Lungo i decenni è venuta meno la passione civile e politica, la volontà di selezionare i gruppi dirigenti e gli amministratori su una base meritocratica, la creatività e l’immaginazione che sono il sale di ogni progetto. Dovrebbe essere scontato che una comunità che cambia continuamente chiede a chi la governa energia, ascolto e un’innovazione permanente. Insomma, per usare un’espressione celebre, l’esaurimento della forza propulsiva della sinistra in Italia e a Ferrara ha inizio dalla fine degli anni settanta e si approfondisce lungo l’intero decennio ottanta del secolo scorso. A mia conoscenza un dibattito di questa portata non si è mai fatto.

Cosa fare per risalire dal baratro in cui si è precipitati? Altra risposta non facile da sintetizzare in poche righe. Mi limito a rapide enunciazioni. In generale bisogna fare il contrario di ciò che sta facendo il Pd, il maggior partito del centro-sinistra. E’ cambiato il segretario nazionale, sono cambiati i segretari ferraresi, ma il Pd resta agonico e assolutamente assente nei territori e nel dibattito pubblico. E’ un partito che non risponde a nessuno stimolo, neanche a dimissioni clamorose come quella del suo giovane segretario dopo appena un anno di direzione del Pd della città. Altri se ne sono andati o continuano a denunciare dall’interno la mancanza di vita democratica e addirittura di luoghi e occasioni per discutere. Personalmente posso testimoniare di aver sempre trovato porte chiuse e nessuna disponibilità ad utilizzare quelli che una volta si chiamavano gli ‘indipendenti di sinistra‘. Qui si aprirebbe il capitolo dei rapporti con la cultura e con la funzione degli intellettuali. Il segno più clamoroso della disfatta del Pd è il mancato rapporto con le competenze e le persone di cultura. Gianni Venturi, Ranieri Varese, Alessandra Chiappini sono solo alcune delle figure di eccellenza della nostra comunità ignorate e mai difese dagli attacchi vili subiti dallo squallido Vittorio Sgarbi. Diciamo, però, che la realtà politica a sinistra non si identifica con la crisi grave del suo maggior partito. Ci sono liste civiche (Fusari), nuove associazioni, circoli culturali e tante singole persone che sono al lavoro da mesi per elaborare proposte e definire un progetto alternativo all’attuale amministrazione leghista. E va riconosciuto che il sindacato unitario (Cgil-Cisl-Uil), nella sua autonomia, sta svolgendo un ottimo lavoro di denuncia e sollecitazione critica sulle questioni sociali più drammatiche. In particolare il segretario della Cgil Cristiano Zagatti propone continue analisi e stimoli, purtroppo nella quasi assoluta assenza di interlocutori politici. Qui emerge un’altra caratteristica negativa del momento: l’incomunicabilità tra soggetti, movimenti, associazioni. Ognuno è impegnato nel proprio ambito e pare geloso di un’autonomia che si trasforma in debolezza e isolamento. Urge costruire ponti per confrontarsi e dialogare. Un’ultima annotazione. Il lavoro che stanno svolgendo vari gruppi, liste e associazioni per individuare linee progettuali e mettere a punto un programma alternativo alla destra è indispensabile e prezioso, ma non sufficiente. Occorre il coraggio di pensare insieme, fin da ora, ad una figura che possa funzionare da coagulo per autorevolezza e capacità di costruire una squadra che si candidi a governare la città dopo questi anni leghisti che si presentano come un misto tra le ‘provocazioni’ del vice-sindaco e lo stile doroteo-soporifero del Sindaco. Nel microcosmo ferrarese sembrano rivivere due personaggi manzoniani: un don Rodrigo ribaldo, arrogante e un Conte zio sempre impegnato a “…sopire, troncare. Troncare, sopire…”. Tra le due figure guida dell’amministrazione leghista bisognerebbe inserirsi per approfondire la contraddizione tra le due anime della Lega presenti anche a livello nazionale. Ultimo esempio, il clamoroso dissenso tra Salvini (e il vice sindaco Lodi) sulla chiusura delle discoteche in netto dissenso rispetto alla posizione del presidente della Regione Veneto Luigi Zaia, d’accordo con la decisione del governo Ma per agire con efficacia bisogna tornare a fare politica. In che modo? Qualificare la proposta politica e programmatica; scegliere un nuovo personale politico che sostituisca chi rappresenta una sconfitta storica; alzare il livello della denuncia e del conflitto civile, sociale, politico e morale contro una giunta priva di idee e impegnata solo nell’arte del sopravvivere.


BURIANI MASSIMO

UNA “ALLEANZA PROGRESSISTA” PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE DI FERRARA

Cause recenti e remote della sconfitta del centro sinistra di Ferrara del 2019 

Premessa

La clamorosa sconfitta elettorale del Centro-sinistra nelle elezioni amministrative del 2019 a Ferrara ha assunto una grande notorietà nazionale ed è diventata quasi un “paradigma” della crisi della sinistra nelle “roccaforti rosse”. Un paradigma, in parte smentito nel 2020 dai risultati regionali in Emilia-Romagna (grazie anche alla mobilitazione straordinaria del movimento delle sardine), ma a Ferrara città e in quasi tutti i comuni della provincia in cui si è votato, la Lega, nonostante il suo “improbabile” candidato (Lucia Borgonzoni), ha comunque vinto. Segno di una frattura profonda nell’elettorato del Centro-sinistra ferrarese. 

Una sconfitta tanto più clamorosa e bruciante se esaminiamo i risultati assoluti di queste elezioni: Modonesi ha raccolto solo 28.561 voti al secondo turno. Cinque anni prima, nelle elezioni del 2014, Tagliani veniva eletto Sindaco al primo turno con 41.205 voti e in quelle del 2009 aveva raccolto 39.352 voti. Nelle due elezioni precedenti, nel 1999 e nel 2004, il candidato Sindaco dei Democratici di Sinistra, Gaetano Sateriale, era eletto a Ferrara rispettivamente con 50.333 voti e 49.161 voti. 

Scontando il calo fisiologico dell’affluenza e l’aumento dell’astensionismo al 2° turno, ciò che impressiona è un dato fondamentale: In un ventennio, il centro-sinistra a Ferrara (nelle sue varie coalizioni politiche) ha perso 21.700 voti, di cui oltre la metà ( -12.644) nelle sole elezioni 2019.

E’ evidente, da questi numeri, che si è letteralmente sgretolato il blocco sociale che aveva retto il quadro politico ferrarese negli ultimi 72 anni, con una impressionante accelerazione negli ultimi 10 anni. Si è sgretolato il cosiddetto “zoccolo duro” del centro-sinistra, formato da operai, dipendenti pubblici, insegnanti, pensionati oltre ad una significativa presenza di artigiani, piccoli imprenditori, cooperatori, commercianti e professionisti. Un blocco sociale intaccato anche in altre aree regionali, ma non con la stessa intensità e rapidità che si è riscontrata a Ferrara.

Per rispondere alla prima domanda posta da Fe-Nice propongo una risposta articolata su tre livelli di analisi: 

A) l’evoluzione del contesto politico nazionale ed i suoi riflessi sulla realtà politica locale. 

B) lo scenario demografico, economico ed occupazionale della realtà provinciale in cui si sono tenute le elezioni del 2019 a Ferrara; 

C) gli effetti politici devastanti sul consenso nel breve termine di due shock  esogeni

  1. La lotta per l’egemonia politica nel Partito Democratico Ferrarese e la rincorsa al centro moderato

Nel decennio dal 1999 al 2009 (Sindaco Gaetano Sateriale) le Giunte di Centro Sinistra erano ancora trainate dai Democratici di Sinistra e vedevano in posizione minoritaria gli ex Democristiani confluiti nella Margherita, i Socialisti, Rifondazione Comunista, PDCI, e Verdi. Con la costituzione del Partito Democratico nel 2007 e con la prima Giunta Tagliani si è passati ad un’altra fase politica dove l’egemonia nel PD a livello locale è passata sostanzialmente alla componente ex democristiana di estrazione Cristiano Sociale e Popolare. Dopo la battaglia politica, che nel PD aveva visto nel 2013 le dimissioni di Bersani dopo il famoso tradimento dei “101” nella nomina di Prodi a Presidente della Repubblica e l’affermazione di Renzi al successivo congresso, comincia anche dentro il PD ferrarese una lunga transizione. La maggioranza della Direzione provinciale si schiera con il nuovo segretario (e sono numerosi i “cambi di casacca” di esponenti di punta ex bersaniani).  Comincia la fase della rincorsa al “centro moderato”, approccio politico classico del riformismo socialdemocratico, rafforzato dalla esperienza politica del partito laburista di Blair e da quella del Partito Democratico Americano (Clinton in particolare). 

Il PD a livello nazionale, in quella fase, fino al mitico exploit di Renzi con il 40% alle europee del 2014, faceva breccia sia nell’elettorato di sinistra (stanco di sconfitte e di “quasi vittorie”), sia nel voto moderato (orfano della “rivoluzione liberale” promessa da Berlusconi), oltre che nel voto populista (con le parole d’ordine della “rottamazione” del taglio dei parlamentari e dei costi della politica), insomma incarnava l’idea di un vincente “partito pigliatutto” a vocazione maggioritaria.

A livello ferrarese con la seconda Giunta Tagliani nel 2014 diventano più significative nella scena politica ferrarese le liste civiche di ispirazione centrista. I due anni successivi, sono gli anni del Governo Renzi, del Job-act, del “partito liquido”, della “dis-intermediazione” dalle categorie sociali, in particolare quelle rappresentate dai sindacati, fino alla sconfitta al referendum costituzionale ed alle dimissioni di Renzi alla fine del 2016. Il PD subisce senza particolari scossoni nel febbraio 2017 la scissione a “sinistra” dei Bersaniani di MDP-Art.1. Renzi viene rieletto Segretario del PD nel marzo 2017 e rimane in carico fino alle politiche del 2018 punto più basso dei risultati elettorali del PD (20%).

Lo scenario politico si caratterizza in questa fase per il passaggio dal bipolarismo, al tripolarismo e vede l’affermazione dei 5S. La componente “populista” (Lega e 5S) comincia a diventare egemone nel Paese.

Dopo la reggenza Martina, l’affermazione della lista Zingaretti al congresso PD del 2018, sembra aprire nuovi orizzonti politici. A Ferrara ha totalizzato oltre il 60% dei consensi nelle primarie del partito, ma non viene tradotta in città e negli altri Comuni della Provincia in percorsi di rinnovamento della classe dirigente.

Comincia a formarsi un’immagine di “arroccamento” del PD ferrarese incapace di rinnovarsi e superare la transizione del dopo Renzi. 

Nel Pd Ferrarese, nel corso di quei tre anni, comincia ad essere intaccata anche l’egemonia della componente di estrazione ex democristiana e Cristiano sociale. Si affaccia nel PD una nuova offerta politica rappresentata dai combattivi esponenti dell’area di osservanza strettamente renziana, che non mancano in diverse occasioni di criticare, da posizioni neo-liberiste, il gruppo dirigente formatosi attorno a Tagliani, incuneandosi infine tra i due contendenti alla successione di Tagliani: Modonesi (di estrazione cattolica ex DC) e Maisto (ex DS) con la presentazione di un proprio candidato civico, poi ritiratosi dalla competizione. 

La frammentazione della offerta politica locale

A livello locale l’offerta politica, che non trova più rappresentanza nei partiti tradizionali del centro-sinistra, tende a frammentarsi in decine di sigle ed associazioni, ciascuna portatrice di pezzi di identità e di rappresentanza parziale di interessi.

Si formano anche a Ferrara nel 2018 numerose associazioni politiche a sinistra del PD, “Coalizione civica”, “Alleanza Civica della ex assessora Fusari”, Il “Battito della città” e molte altre che si presentano con diversi candidati alle elezioni (confluite poi nella lista Emilia-Romagna Coraggiosa della Elly Schlein alle Regionali del 2020).

B) I trend strutturali: Un declino davvero irreversibile?

I trend di lungo periodo fotografano negli ultimi 20 anni una tendenza al declino economico e demografico di Ferrara che sembra irreversibile.

  • Sotto il profilo demografico la Provincia di Ferrara risulta tra le province con età media più elevata e le minori nascite in Regione dopo Bologna e con il minor numero di lavoratori migranti stranieri (nonostante la percezione dei ferraresi). 
  • L’economia ferrarese ha continuato a perdere posizioni economiche nel contesto regionale. Oltre alla distruzione d’interi settori produttivi (costruzioni) non si è attuato l’inserimento di Ferrara nei processi di sviluppo e nel dinamismo imprenditoriale che ha caratterizzato altre province ed aree territoriali della Regione. Il tessuto produttivo ferrarese è rimasto sostanzialmente tagliato fuori dai principali assi economici e di trasporto (Brennero, Via Emilia e dorsale Adriatica)e dai processi di innovazione e di investimento nei distretti produttivi emiliani (meccanica, farmaceutica, ceramica, meccatronica ecc.). Sono presenti nella Provincia di Ferrara grandi aziende multinazionali (nel petrolchimico e nella meccanica) che stentano però a favorire la crescita di una solida sub-fornitura locale. Ferrara presenta punti di forza nel settore agricolo, dove in alcune grandi aziende (anche cooperative) e nell’orto-frutticoltura si sperimentano anche innovazioni nei processi produttivi e nelle politiche di commercializzazione, ma con un livello di valore aggiunto comunque insufficiente per consentire a Ferrara di superare il Gap regionale maturato in altri settori.
  • I principali indicatori economici come il tasso di disoccupazione ed il valore aggiunto evidenziano il permanere di un ritardo confermato da un livello di reddito pro-capite inferiore del 25% rispetto alla media regionale. 

Uno scenario ben descritto nell’analisi commissionata dalla Holding Ferrara Servizi nel 2017 allo Studio Ambrosetti (“Il Futuro di Ferrara: Priorità strategiche, leve di sviluppo e linee di intervento”) che nell’analizzare le cause del declino economico individuava poi sei priorità strategiche ed azioni per invertire i ritardi di Ferrara, tra le quali: Rendere il territorio attrattivo e generare nuova imprenditorialità; Potenziare gli assi di collegamento e l’accessibilità del territorio; Rilanciare l’occupazione; Affrontare lo spopolamento e l’invecchiamento della popolazione; Stimolare il senso di comunità, nuove energie e voglia di futuro.  

Lo studio si concludeva sollecitando l’elaborazione di una “Visione Strategica condivisa con gli stakeholder del territorio”. 

Ho sempre trovato singolare che questo studio non venisse utilizzato nemmeno per aprire un dibattito nella stagnante politica ferrarese. Per quanto riguarda la “condivisione di una visione strategica” con il mondo imprenditoriale e sindacale devo segnalare che le associazioni di categoria (intervistate nell’ambito di una ricerca condotta dalla associazione “Unità Riformista” nel 2017) lamentavano la mancanza di tavoli di confronto se non il disinteresse degli Amministratori locali. Altro che “visione strategica condivisa”!

Ulteriore debolezza strutturale, fonte di continue lamentele e perdita di consenso nella popolazione, è collegata alla lunga ed ancora irrisolta riorganizzazione della sanità pubblica ferrarese; con la competizione tra gli ospedali cosiddetti “Spoke” (Lagosanto, Cento, Argenta) con l’”Hub” di Cona,le lunghe liste di attesa, il sovraffollamento del Pronto soccorso, la continua riduzione di posti letto, la mancata sostituzione di primari, la competizione con la sanità privata del Veneto ed i ritardi nella realizzazione delle Case della Salute e di una rete sanitaria territoriale. 

Questo scenario, a mio parere, fornisce una prima risposta alla domanda posta da Fe-Nice. Tra le cause profonde della sconfitta io individuo l’incapacità delle forze politiche al governo della città di farsi promotore di progetti condivisi o quanto meno di una “visione strategicaper arrestare il declino; l’incapacità di “fare sistema” anche per avere più forza nei tavoli regionali o governativi. In conseguenza è via via maturata nelle categorie economiche e sociali la consapevolezza dell’impotenza (se non l’ignavia) delle classi politiche ferraresi di fronte ai processi innescati dal declino economico. 

  1. Il colpo di grazia

Oltre a questi fattori strutturali nei tre anni precedenti le elezioni si sono abbattute sulla popolazione ferrarese (non solo quella cittadina) due formidabili shock che hanno fortemente contribuiscono ad accelerare lo sgretolamento del blocco sociale di riferimento del Centro sinistra: 

  1. La crisi ed il mancato salvataggio della Cassa di Risparmio di Ferrara
  2. La gestione della emergenza migranti ed in particolare i problemi di ordine pubblico e di sicurezza esplosi nel quartiere GAD. 

La crisi ed il fallimento della Banca cittadina è stata subita come una ingiustizia sociale ed economica da migliaia di risparmiatori e azionisti, che ne hanno addebitato la responsabilità al Governo (Renzi) ed al Partito Democratico. I diversi tentativi del Sindaco Tagliani e del Presidente della Fondazione Carife Maiarelli, di schierarsi dalla parte degli azionisti, prendendo le distanze dall’inattesa e devastante anticipazione del “bail in” e dalla messa in risoluzione della Banca, dopo le vane promesse di intervento del Fondo Interbancario (successivamente utilizzato nel salvataggio di altre banche), venivano regolarmente vanificati dalle numerose dichiarazioni sulla stampa locale da un noto consigliere economico del Governo che, ancora nel 2016 in un’intervista al Carlino, per difendere il Governo addebitava tutte le responsabilità del fallimento alla “…classe dirigenziale ed imprenditoriale che ha gestito quella banca… ed ai sistemi di potere chiusi che hanno voluto giocare una partita più grande di loro..”. Scaricando di fatto le responsabilità del fallimento della banca anche al mondo imprenditoriale ferrarese (oltre che agli “incauti” azionisti).

Peccato che per l’opinione pubblica ferrarese, si trattava della stessa classe dirigenziale ed imprenditoriale legata al mondo cattolico-democratico in quel momento al governo della città.  Insomma, da posizioni “liberiste di sinistra” si è aperto anche un “fuoco amico” all’interno del PD.  La Lega ha avuto gioco facile nel prendersi la rappresentanza di ciò che rimaneva del debolissimo tessuto economico locale (piccola industria, artigiani, commercianti e professionisti), oltre che di migliaia di piccoli risparmiatori.

Il secondo shock è causato dalla gestione dell’emergenza migranti ed in particolare dei problemi di ordine pubblico e di sicurezza esplosi nel quartiere GAD. Anche questo problema è stato addebitato alla politica nazionale del Governo ed alla gestione a livello locale da parte del PD. 

La sensazione di impotenza, se non di debolezza, della classe politica al Governo della Città nel dare una risposta credibile sul terreno della sicurezza in quel quartiere, alimentata dall’enfasi quotidiana della stampa locale sulle risse tra migranti irregolari per il controllo dello spaccio della droga, ha oscurato e vanificato i tentativi di integrazione e di rivitalizzazione sociale operati a più riprese da assessori e associazioni nel quartiere. Ha alimentato la propaganda leghista e spaventato migliaia di cittadini, in particolare di pensionati, quegli stessi pensionati che prima votavano a sinistra. Per non parlare dei piccoli proprietari danneggiati dal crollo del valore degli immobili nel quartiere Giardino. Difficile pensare che il candidato sindaco del PD alle elezioni del 2019 (Aldo Modonesi), che aveva in Giunta le deleghe sulla sicurezza urbana, potesse ottenere il consenso necessario a vincere le elezioni. 

I tentativi della segreteria comunale del PD di costruire attorno ad un nome civico esterno al PD un programma di svolta e di rottura con il recente passato, sono stati vanificati dalla ricandidatura di molti dei precedenti esponenti della Giunta uscente. Il risultato è che oggi perde di credibilità e di efficacia anche l’opposizione, percepita come rancorosa, fatta dai precedenti amministratori sconfitti.

Questi a mio parere sono i principali fattori economici e sociali che hanno pesato nella accelerazione della caduta del consenso e nella perdita del blocco sociale di riferimento per il centrosinistra ferrarese. 

2. Ora, come organizzare un centro sinistra “forte, trasversale e ambizioso” a Ferrara?

Difficile pensare ad un centrosinistra “forte” senza porsi la domanda di come riaggregare attorno ad esso un nuovo blocco sociale. 

Con l’attuale grado di partecipazione al voto, per vincere con un buon margine di sicurezza a Ferrara il centrosinistra dovrebbe ottenere il consenso di almeno 40.000/42.000 elettori. In altri termini, dovrebbe recuperare parte dell’astensionismo e recuperare almeno 13.000 ex elettori che l’hanno abbandonato alle ultime elezioni amministrative (tra cui vi sono operai, lavoratori precari, pensionati, ma anche insegnanti, impiegati pubblici, piccole partite IVA). 

Se vuole tornare al governo della città il centrosinistra dovrà necessariamente contare su coalizioni larghe, ma senza le affannose rincorse verso il “centro moderato” che hanno caratterizzato le ultime fasi politiche. Dopo la lunga stagione della “disarticolazione” del mondo del lavoro, il primo obiettivo dovrebbe essere quello di recuperare ciò che rimane del voto operaio ed impiegatizio ed il voto del vario mondo del precariato; comprendente quello delle partite iva. 

Superare il concetto di “Centro-sinistra”

Per capirci meglio, Il cosiddetto “centro-sinistra”, per tornare ad essere attrattivo, dovrebbe intanto cominciare a spostare più a sinistra il suo baricentro politico. In una fase economica e sociale in cui aumentano le diseguaglianze, le insicurezze sociali, il welfare si allontana dai cittadini ed il ceto medio si impoverisce e si precarizza, lo spazio politico centrista tende inevitabilmente a ridursi e a polarizzarsi e ad alimentare il populismo. Per battere la destra occorre ricostruire un’area politica ampia, più nettamente contrapposta al campo politico della destra. Un campo chiaramente riconoscibile per suoi valori e per la sua identità prima ancora che per i contenuti programmatici. 

Difficile trovare una definizione oggi per identificare questo campo politico. Tutte le classiche formule utilizzate dalle coalizioni di centro-sinistra: dall’”Unione per l’Ulivo”, all’”Italia Bene Comune”, alla “Grande coalizione”, con tutte le relative declinazioni locali, suonano come usurate ed inefficaci per contrapporsi a questa destra. 

 La formula che mi sembra più rispondente mi sembra quella di una “Alleanza progressista, ampia, articolata molto attenta ai valori dell’eguaglianza, dei diritti e dell’ambiente. Ma che non rinuncia all’idea che Ferrara deve tornare a crescere e ridurre le distanze dallo sviluppo regionale. Una “offerta politica” comprendente i partiti tradizionali del centrosinistra, oltre, auspicabilmente, ai Radicali ed ai 5S, ma rivitalizzata, sul piano dei contenuti e dell’attivismo politico, dalle forze sociali e dalle Associazioni civiche: sia quelle di orientamento più marcatamente ambientalista che quelle più attente ai Beni comuni ed alla difesa dei Diritti. Le piazze riempite dal “movimento delle sardine” sono quelle che assomigliano di più a quest’idea di “Alleanza per il lavoro e lo sviluppo sostenibile di Ferrara”

Una nuova “visione” per lo sviluppo di Ferrara

Dobbiamo partire dalla consapevolezza che la destra che ha vinto le elezioni, gestirà la Città ancora per un lungo periodo. Il “campo di ispirazione progressista” dovrebbe prepararsi ad una lunga stagione di opposizione e dotarsi di una “visione” ed una “idea”, non solo della gestione amministrativa dell’esistente, ma una “idea di sviluppo” per Ferrara, aprendo fin d’ora il confronto con le varie categorie economiche e sociali, cominciando da quelle che fanno riferimento al mondo del lavoro.  

Ferrara ha la necessità prioritaria di fronteggiare il declino, rimettere in moto lo sviluppo e creare nuovo lavoro. Ma con alcune condizioni irrinunciabili: lo sviluppo deve essere concepito come “qualitativo”, per superare le storture e contraddizioni di uno sviluppo solo quantitativo. Dovrebbe puntare sull’Economia circolare. Su un welfare di comunità che renda nuovamente la salute accessibile e universalistica, utilizzando al meglio tutte le maggiori risorse disponibili per la sanità e contribuisca ad invertire il trend demografico negativo. Attrarre nuovi investimenti privati in settori che incrociano la ricerca, l’innovazione valorizzando il ruolo dell’Università. Intervenire sulle infrastrutture, sia quelle viarie e della mobilità che delle reti digitali.

Uno sviluppo sostenibile in linea con gli obiettivi europei della “transizione energetica” e della Agenda 2030 e ispirati dagli obiettivi europei del piano “Next generation EU”, che dia speranze e nuove prospettive al lavoro.

Per mettere in moto questo processo sarà fondamentale il ruolo degli investimenti pubblici

La nuova “Alleanza progressista” dovrebbe porsi già da oggi una domanda: Quali progetti potranno essere messi in campo a Ferrara per utilizzare in modo efficace, ai fini dello sviluppo sostenibile, le risorse che saranno messe a disposizione dal “Recovery Fund”? E in quali settori? E con quanta forza politica e negoziale si potrà partecipare ai tavoli regionali e governativi per candidare Ferrara ad utilizzare a questo scopo le grandi risorse comunitarie attese già nel prossimo anno? Come utilizzare al meglio, in particolare, i fondi di “coesione” previsti nella nuova programmazione dei fondi strutturali 2021-2027 ai fini della riduzione delle disparità tra le regioni  d’Europa (e all’interno delle stesse regioni)?

Altri scenari innovativi di sviluppo ancora sono attesi dalle risorse messe in campo dall’Europa per favorire al contempo un cambio del modello di sviluppo verso un “Green Deal E.U.” indicato tra le priorità politiche della Commissione Europea. 

Ci sono alcuni temi importanti per ridefinire le linee di una “progettualità progressista, qualitativa e sostenibile”, su cui cominciare a lavorare già da oggi ed incalzare con proposte ed idee la destra al governo della città: progetti per la creazione e diffusione di “Comunità energetiche locali” con la finalità primaria di fornire benefìci ambientali, economici e sociali nelle aree in si attiveranno questi interventi. La sfida della sostenibilità energetica si coniuga con l’altra sfida che è quella dei “Piani di Rigenerazione Urbana”: quali politiche e progetti per migliorare la “qualità dell’abitare” e per contrastare il degrado delle periferie; rifunzionalizzare spazi ed immobili pubblici. Il rafforzamento e la diffusione delle “reti digitali” per superare il “digital divide” della provincia di Ferrara rispetto ad altre aree regionali; il rafforzamento di un nuovo “welfare di comunità”.

Sappiamo bene che i programmi però non bastano se non sono caricati di principi valoriali, in grado di suscitare speranze e forti motivazioni. Difficile che questo possa avvenire se non c’è un nuovo personale politico a proporli! Il rinnovamento della classe politica ferrarese da attuarsi nei prossimi 3/4 anni è la prima condizione necessaria ed indispensabile.

Quale offerta politica a Ferrara è potenzialmente in grado di innescare questo “circolo virtuoso”, ed è  in grado di mobilitare speranze ed aspettative? 

Quali soggetti politici oggi a Ferrara possono dirsi così “trasversali” ed “ambiziosi” (per utilizzare i termini proposti da Fe.Nice), e dotati di  una visione politica ed il potenziale necessario per costruire un “Alleanza Progressista allargata” in grado di vincere le prossime elezioni?  

Per la sua storia e la sua “massa critica” (per quanto residua) questo ruolo dovrebbe essere svolto dal Partito Democratico. Ma non sta avvenendo; e, temo, non avverrà fino a che rimarrà ostaggio di una classe politica ripiegata su se stessa ed autoreferenziale a cominciare da quella che siede oggi nei banchi del Consiglio Comunale di Ferrara. 

La sfida per costruire questa nuova offerta politica è trainata oggi dal protagonismo delle associazioni civiche e dalle forze sociali di Ferrara; ma saranno in grado di trovare un denominatore comune per concepire una visione convincente e trainante dello sviluppo di Ferrara in grado di coinvolgere anche le forze imprenditoriali?

Concludo quindi con altre domande senza risposta, che si aggiungono a quelle poste da Fe.Nice, che ringrazio per aver avuto il coraggio di aprire questo dibattito. Non credo che ci siano dubbi sulla necessità che questo dibattito debba trovare uno “sbocco” politico per essere davvero fruttuoso per le sorti di Ferrara.


CASELLI SERGIO

SERVE UN’ALLEANZA SOCIALE

Il centro-sinistra ha perso le elezioni amministrative nel comune di Ferrara per diverse cause , quella principale :

Il PD si e’ isolato nella sua autoreferenzialita’ e non ha saputo mobilitare una parte degli elettori. Lo dimostrano i voti nel secondo turno.

In Italia (e quindi anche a Ferrara) il sistema elettorale e’ proporzionale e la precondizione per potere vincere le elezioni e’ una alleanza ed un personale politico con un programma di governo credibile, con un alto profilo riformista. Abbiamo assistito ad un immobilismo imperdonabile. Tutt’ora , dopo una anno dalla sconfitta non si vede nessuna azione politica su temi e problemi che interessano la citta’ ed il territorio provinciale. Siamo in un totale ed un inspiegabile silenzio.

Per il futuro occorre costruire un’alleanza larga ( partiti, movimenti , singole personalità ) che sia unita da valori e proposte di governo per la citta’. Una alleanza inclusiva. Alcune priorità ; ambiente , lavoro , sviluppo , sanità e welfare . Occorre andare dove sono i cittadini , nelle piazze , nei posti di lavoro dove ci sono i lavoratori gli imprenditori, nei bar , nelle polisportive ecc . Una alleanza per fare, per governare.

Serve inoltre un radicale rinnovamento del personale politico, facce nuove e con capacità politiche di rappresentanza e di governo.

Le prossime elezioni ci saranno tra 4 anni ma per ricostruire una alleanza competitiva bisogna partire sin da ora.

Per questo motivo considero positiva l’iniziativa intrapresa da Fe-Nice : creare uno spazio di confronto per costruire un centro-sinistra credibile e che possa ritornare ad essere forza di governo della città di Ferrara , medaglia d’argento al valore militare ( per i sacrifici delle sue popolazioni e per la sua attività partigiana nella liberazione dal nazifascismo)


CHIAPPINI ALESSANDRA

CORAGGIO, CHIAREZZA E COERENZA

Più che risposte, esprimo alcune riflessioni, limitate agli osservatori che l’esperienza mi ha fornito.

All’avvio del ragionamento credo non si possa prescindere dal considerare alcuni eventi epocali che si sono verificati a Ferrara e nel Ferrarese negli ultimi decenni, e che, per diversi aspetti e con responsabilità di tipo diverso, hanno indebolito la sinistra.

La vicenda Coopcostruttori è stata un ordigno la cui deflagrazione ha segnato pesantemente la storia della sinistra locale, oltre che quella dell’economia e di numerosissime famiglie, e le conseguenze non sono tutt’ora superate.

La sorte della Cassa di Risparmio si è abbattuta pesantemente sulla città, e anche sull’Amministrazione Comunale di quegli anni, nonché su Dario Franceschini, compromettendo la riconferma di quest’ultimo in Parlamento (avvenuta poi ope legis, e non “ope electionis”). Resta il fatto che ha inferto ferite durissime, ancora sanguinanti. Solo chi conosce e conoscerà le vicende di questo evento con la necessaria competenza sarà in grado di trarre valutazioni attendibili circa le responsabilità politiche, che l’elettorato ha con evidenza attribuito ai diversi livelli delle Istituzioni  gestite dalla sinistra.

Poi il terremoto, che tradizionalmente e inevitabilmente assume anche il colore politico dell’Amministrazione in carica, e che altrettanto inevitabilmente ne mette alla prova il rigore organizzativo, per virtuoso che sia. Questo, benché i livelli della pubblica amministrazione coinvolti nella ricostruzione/ristrutturazione siano diversi  (Stato, Regioni, Comuni) e impongano ciascuno i propri ritmi e i propri limiti.

Non ultima, c’è stata la crisi del 2007, che a Ferrara ha esasperato problemi endemici. Non accenno alle criticità post-covid perché esulano amministrativamente, per cronologia, dal contesto afferente alla sinistra a Ferrara.

Assunto tutto questo, negli ultimi decenni, quelli pre e immediatamente post-Maastricht, con l’introduzione dell’euro, con l’immigrazione ormai più che avviata, appare chiaro che è mancata la capacità di pensare con efficacia a una Ferrara proiettata verso il mondo che stava e sta costruendosi. Abbiamo accettato di farla transitare con gli strascichi dei problemi vecchi e con una sottovalutazione di quelli nuovi che si andavano delineando già da tempo. Insomma, ci è mancata quella che si è abituati a definire  la visione, il respiro lungo, connotato e limite della la politica  nel nostro Paese oggi, tanto più pesante nelle situazioni di maggiore criticità. Il dramma della disoccupazione e delle nuove povertà, quella dei giovani in primo luogo, gravissimo a Ferrara anche prima del Covid,  la crisi del commercio (negozi che chiudono quasi a pioggia, difficoltà, ormai, a trovare sul commercio locale alcune tipologie di merci) e dell’artigianato, lo spreco della potenziale forza lavoro degli immigrati, non hanno trovato attenzione sufficiente e strategica che si affiancasse a quella routinaria destinata ai bisogni materiali delle persone in difficoltà (e, anche se perfettibile come ogni cosa, non credo si possa sostenere che questa sia mancata).

Sono state dunque insufficienti la vicinanza concreta e la capacità di ascolto dei problemi vecchi e nuovi, e soprattutto delle nuove paure -confronta la zona GAD-, di cui è stato certamente sottovalutato l’impatto sui residenti. Si è tenuto un atteggiamento evidentemente non sufficientemente empatico al proposito, trincerandosi dietro i dati oggettivi e confortanti della Questura e della Prefettura quanto a delinquenza in città. Qualche intervento si è fatto, ma non si è capito con sufficiente precocità che anche la percezione dell’insicurezza va presa in seriissima considerazione, perché influisce pesantemente sulla qualità della vita. Questo ha comportato la crescita del senso di abbandono da parte dei cittadini, e ha impedito di fronteggiare efficacemente la strumentalizzazione da parte della destra. E’ stato un punto di forza regalato alla destra sopra un piatto d’argento, che ha pesato moltissimo sui risultati delle ultime elezioni comunali.

Al tempo stesso è mancata l’efficacia nella comunicazione di quanto realizzato, o impostato per l’amministrazione comunale successiva.  Abbiamo dunque pagato molto cara anche la nostra imperizia nella comunicazione, limite congenito della sinistra, forse un po’ snob. 

Bonaccini ricorda spesso la qualità del nostro servizio sanitario regionale. Ma non pare proprio che la situazione della sanità ferrarese possa essere considerata esaltante. Le criticità hanno iniziato a farsi sentire da tempo, con un’importante accelerazione negli ultimi anni (mi riferisco sempre al tempo pre-covid). Abbiamo assistito a progressivi pesanti tagli delle risorse, del personale, dei posti letto cui va aggiunto il mancato rinnovamento e adeguamento delle tecnologie, che collocano oggi Ferrara ai più bassi livelli di prestazioni sanitarie in Regione. Proprio in questi giorni, congedandosi dal suo ruolo di Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera Sant’Anna, Carradori sosteneva che al bisogno sanitario espresso dalla provincia di Ferrara mancano oltre 300 letti. Viene da chiedersi perché indichi solo oggi, alla sua partenza, questa criticità. Perché non prima, visto che il tema afferiva alle sue competenze. E’ una domanda naif, ma riguarda comunque istituzioni di matrice regionale, la cui area politica di riferimento era ed è la sinistra.  I disservizi, le carenze, i buchi che ne conseguono, le lunghissime attese di visite specialistiche (mi riferisco ovviamente anche al periodo pre-covid), il crollo della qualità dei servizi, la necessità sempre più frequente del ricorso alle prestazioni di ospedali di altre città in regione, spingono inevitabilmente i pazienti verso la sanità privata, soprattutto extra-regionale, disgregando quello che è sempre stato un principio basilare e irrinunciabile della sinistra: il diritto di tutti, nessuno escluso, alla salute e dunque all’accesso pubblico gratuito (o a un costo contenuto in progressività col reddito) alle cure sanitarie.  La salute non può essere oggetto di speculazione privata. Credo sia legittimo riconoscere nel poco soddisfacente servizio sanitario ferrarese una delle cause dei flop elettorali della sinistra a Ferrara e, soprattutto, alle regionali  (non dimentichiamo che la Borgonzoni ha superato Bonaccini nel nostro Comune e in buona parte della provincia).

La nostra città gode di bassa considerazione non solo in riferimento ai servizi sanitari. Nelle classifiche relative a vari altri aspetti che incidono sulla qualità della vita, e che periodicamente vengono divulgate, Ferrara va scivolando progressivamente verso le ultime posizioni fra le città della Regione. Pur non esasperando il valore di tali strumenti di comunicazione e di informazione, che talvolta fanno ricorso a indicatori e prassi applicative discutibili, una qualche sollecitazione a una riflessione critica deve pur nascerne. Riflessioni che l’elettorato evidentemente deve aver fatto.

E forse non ci si è ancora resi conto con la necessaria lucidità che già alcune delle ultime elezioni comunali precedenti quella del 2019 sono state per la sinistra, più che vittorie, delle non sconfitte.

Tutto questo non sembra essere stato a tutt’oggi da parte della sinistra, né localmente, né a livello regionale, oggetto di disamina seria e rigorosa, finalizzata a individuare le cause  profonde e a impostare strategie diverse e nuove, con una classe dirigente rinnovata, costi quel che costi.  Nella sinistra permane un atteggiamento di spiacevole autoreferenzialità e di autosufficienza, che sa di difesa del ruolo e della posizione, e contemporaneamente di attacco alle critiche, più che di sforzo di comprensione. Da ciò, l’elettorato, accanto a un grosso malessere, trae un senso di impotenza a farsi sentire, a essere ascoltato e rappresentato, e ne nasce un pericoloso fatalismo; si rende conto che è sempre più grave il gap fra la politica e i problemi quotidiani. Si ha la forte impressione che in questi lunghi decenni di amministrazione locale i principi fondativi della sinistra, quelli imprescindibili e non negoziabili, che erano ovviamente così freschi all’indomani della  Liberazione, del varo della Repubblica e  della Costituzione, si siano piano piano usurati, per abitudine, o perché dati per scontati, o per caduta della specifica tensione ideale, messa a dura prova dalle crescenti difficoltà amministrative, e, pure, per la caduta della qualità dell’opposizione, che ha ovviamente un ruolo importantissimo di sollecitazione. Non pare abbia avuto la necessaria attenzione della classe dirigente della sinistra nemmeno l’apporto delle Sardine, spontaneistico e improvvisato fin che si vuole, ma fondamentale per la riconferma di Bonaccini in Regione,  benché, come si è ricordato, a Ferrara non sia stata sufficiente, e anche come sollecitazione a non perdere la speranza. E a dimostrare, alla sinistra in primis, che di passione politica ce n’è ancora parecchia, e che è ancora possibile coinvolgere le persone.

Perché continuare a parlare di centro sinistra, e non decisamente di sinistra? E’ un’espressione nobile che va recuperata. C’è un gran bisogno di sinistra, ma deve essere inequivocabilmente coerente con i principi fondanti e con il nome. L’esperienza recente ha dimostrato che il tentativo di accontentare molti, mediando sui principi, scontenta tutti e impedisce di prendere decisioni, di certo decisioni coerenti. E’ necessario un profondo esame del recente passato, un esame approfondito e coraggioso, che cerchi e individui con chiarezza cause, errori, per doloroso che possa risultare. Senza questo passaggio di trasparenza non è possibile costruire qualcosa di veramente nuovo e credibile.

Si dovranno mettere al centro della ragion d’essere principi individuati come irrinunciabili, e dunque fondanti. Un punto di partenza importante  ritengo possa essere il pensiero di Enrico Berlinguer, liberato dalle contraffazioni e dalle letture edulcorate, citato troppo spesso a sproposito anche oggi. Con profilo diverso, ma per pertinenza, aggiungerei don Lorenzo Milani. L’apice dei principi fondanti deve esplicitare con la massima chiarezza l’antifascismo come stile e come obiettivo senza mediazioni, la questione morale e il lavoro, inteso come garanzia della dignità delle persone. A partire da questi si possono declinare i punti in dettaglio.

L’apertura di accesso alla sinistra rinnovata dovrebbe essere la più ampia, ponendo come requisito la condivisione dei principi irrinunciabili. Sono convinta che parecchi siano da tempo in attesa di una contingenza simile. Nonostante tutto, e a dispetto di accadimenti che parrebbero indicare una tendenza, l’intelligenza politica delle persone è, in genere, tutt’altro che spenta.

Deve esserci una presenza significativa di giovani, che hanno uno sguardo importante sul presente e sul futuro. A questi vanno riconosciute funzioni responsabilizzanti. Una delle ragioni della crisi della sinistra e della sua incapacità di rinnovarsi sta anche nello scarso interesse, nei fatti, non nelle parole, al contributo dei giovani. In particolare si dovrà guardare con una diversa sensibilità alle giovani donne, il cui apporto in genere è represso e mortificato, pur risultando nei fatti prezioso.

E’ da prevedersi ovviamente un totale ricambio della dirigenza e dei ruoli di responsabilità, nei quali devono essere presenti un buon numero di giovani e di donne. Chi reggerà la nuova formazione politica deve avere un profilo culturale ed etico di spessore. Da tempo, ma negli ultimi anni in particolare, e specialmente nell’attuale fase amministrativa della  nostra città, la politica ha dimostrato come l’ignoranza e la mancanza di limpidezza dei personaggi che la praticano in ruoli importanti finisca con l’intaccare l’autorevolezza stessa delle Istituzioni, a tutti i livelli. Sarebbe inoltre importante che i componenti la nuova classe dirigente potessero contare su una situazione di autosufficienza economico-lavorativa di partenza, che consenta loro il sostentamento una volta conclusa la propria funzione politica. Questo per evitare che soggetti senza fonti di guadagno alternative, una volta al termine del mandato politico finiscano col vincolare la selezione per eventuali candidature, o altri ruoli di responsabilità. Cosa che per cause di forza maggiore è avvenuta fino a oggi troppo spesso, condizionando pesantemente il rinnovamento, frenando il potenziale reclutamento di giovani e creando scontento nell’elettorato.

(APPENDICE  ALLEGATA: valori di riferimento a mio avviso costitutivi dell’idea di sinistra “forte, trasversale e ambiziosa”.)

Al centro deve stare il diritto al lavoro come costitutivo della società democratica e della dignità della persona, con conseguente impegno per la promozione di quello per i giovani e le donne. Un impegno straordinario per il sostegno delle pari opportunità di genere in tutti gli ambiti della società, per consentire alle donne il recupero di quanto finora non riconosciuto loro, attraverso il contrasto ai pregiudizi e agli stigmi, e politiche concrete di conciliazione dei tempi di lavoro con quelli di cura. Ugualmente, il riconoscimento di tutte le altre diversità di genere, di pensiero, religiose come diritto concreto e fattivo. Il riconoscimento della scuola e della sanità pubblica come diritti fondamentali di ogni persona. Il rifiuto dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. L’accoglienza e l’integrazione di chi proviene da situazioni di violenza, persecuzioni, fame, difficoltà economiche, deprivazione delle libertà individuali e collettive. il rifiuto della guerra, e della violenza in genere, come strumento di risoluzione delle controversie a ogni livello. L’impegno per una fiscalità equa e la lotta decisa contro ogni illegalità fiscale. Ancora: Il contrasto alle nuove povertà non con mance ed erogazioni a pioggia, o con benefici accessibili tramite prassi burocratiche cervellotiche, ma attraverso riforme in grado di abbatterne alla radice le cause e di attivarne di virtuose. Il concreto e fattivo riconoscimento dei servizi sociali come strumento di promozione della dignità delle persone in situazione di fragilità, perché nessuno venga lasciato indietro).


COLAIACOVO FRANCESCO

RIPARTIRE DAGLI ELEMENTI VALORIALI DI TUTTO IL MONDO PROGRESSISTA

Io ripartirei non sul come riorganizzare il centro sinistra, ma credo sia fondamentale chiamare tutto il mondo progressista o per lo meno tutti coloro che si dichiarano tali, ad una riflessione su quali siano gli elementi valoriali di un pensiero progressista. Non dobbiamo rassegnarci  ad una politica che si esprime tramite post  che non sa andare oltre a dei vuoti slogan, dove fenomeni complessi si  affrontano con pensieri  di  40 caratteri, su questo piano i populismi stravincono. Sui grandi temi come l’Europa federale, le disuguaglianze, la questione ambientale e la riconversione industriale, l’innovazione tecnologica, l’istruzione e il lavoro non solo in termini quantitativi ma soprattutto in termini qualitativi e non da ultimo i fenomeni migratori, un  fronte riformista deve essere capace di proporre un pensiero che sappia parlare alla gente, infondendo entusiasmo e speranza sulle opportunità di risposta alle sfide per una società più equa e giusta. Sarà necessario superare i particolarismi che da sempre contraddistinguono la sinistra italiana con la parcellizzazione delle forze progressiste regolarmente sconfitte dai populismi che avanzano compatti , si dovrà fare uno sforzo comune per  fare sintesi  e proporre un progetto di paese. A Ferrara il centro sinistra ha perso nel suo complesso perché i voti persi dal PD non sono andati alle altre formazioni di sinistra, è giunto il tempo di prendere coscienza che non c’è qualcuno più responsabile di altri da essere messo all’indice, la città è attonita e non tutti hanno gli strumenti per percepire la pochezza della proposta politica dell’attuale Governo della città, in compenso si stanno minando nelle fondamenta i valori etici che da decenni hanno rappresentato il fondamento della coesione sociale di Ferrara, facendola apprezzare per il suo  capitale sociale e umano. La mia proposta è quella di un invito alle forze dell’area del centro sinistra a confrontarsi  per la declinazione condivisa di un progetto di città da proporre ai ferraresi  che sappia parlare al mondo produttivo, della scuola, a tutti quei movimenti  nati intorno al tema  dei mutamenti climatici, ma soprattutto bisogna recuperare il dialogo con le fasce della popolazione più fragile: gli anziani, i disoccupati, i lavoratori precari  ai quali la vicenda migratoria è stata raccontata come una minaccia dei loro diritti e causa delle loro difficoltà. Dobbiamo essere chiari con le nostre proposte nell’indicare in modo chiaro come vogliamo ridurre le disuguaglianze, offrendo più opportunità senza togliere niente a nessuno, perché i provvedimenti dell’amministrazione attuale tendono a togliere con lo slogan prima i ferraresi  senza in realtà dare nulla, fomentando soltanto odio e rabbia tra i cittadini che pur vivendo a Ferrara da anni o addirittura essendovi nati, vengono discriminati per le loro origini. Circa l’organizzazione entra in gioco il tema delle frazioni, non credo che in questa sede si possa descrivere  nel dettaglio un modello organizzativo, in ogni caso è necessario inserire per ogni singolo tema programmatico  la declinazione sulle frazioni, in termini pratici vanno preservati i servizi pubblici attualmente presenti che l’amministrazione sta chiudendo, mentre per gli strumenti di partecipazione  ci sono vari modelli, in attesa di creare organismi specifici, partirei dal  valorizzare  le tante realtà attive nel campo del sociale e sportivo presenti sui singoli territori.


CUSINATO ELIA

DAL PASSATO AL PRESENTE, GUARDARE OLTRE

Sono Elia Cusinato, diciannovenne, segretario del circolo PD Francolino e lo scorso anno ero candidato in consiglio comunale nella lista del PD, ricevendo 184 preferenze. Spero di tracciare un’analisi completa e fluida che venga condivisa in larga parte dai lettori. Nella serata di domenica 9 giugno 2019 a Ferrara, il centro-sinistra perde le elezioni comunali per la prima volta dopo 73 anni. E’ un evento forte che travolge trasversalmente tutto il centro-sinistra. Ricercare una causa specifica è difficile, perchè non si può puntare l’indice solamente su un evento che è accaduto negli anni precedenti al 2019. Ritengo piuttosto che le cause siano diverse, le quali hanno concorso tutte, se pure con incidenze diverse, a portare quel tipo di risultato. Dare la colpa al candidato sindaco, piuttosto che alla dispersione dei voti della sinistra dovuta alla candidatura di diverse figure mi sembra poco produttivo. L’analisi che voglio proporre parte da una visione ampia, non limitata al Comune di Ferrara, che coinvolge l’intera area territoriale italiana. Seguirò una data, quella del 4 marzo 2018, giorno in cui in tutta la penisola si vota per le elezioni politiche e la terrò come punto di riferimento per argomentare la mia posizione sui fatti, spostandomi ora prima ora dopo questa data. La legislatura conclusasi nel 2018 è stata caratterizzata da diversi cambi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, i fatti più decisivi riguardano il governo Renzi con il Jobs Act che non è stato digerito nel modo migliore da larga parte degli italiani, il referendum costituzionale del 4 dicembre ’16 che culmina con le dimissioni stesse di Renzi. Nasce il governo Gentiloni, con alcuni ministri diversi (uno su tutti Marco Minniti) che a volte silenziosamente, altre meno, attua diverse riforme legislative. Questo susseguirsi di eventi non è piaciuto molto agli italiani,o perlomeno, non è stato capito, forse perchè non è stato spiegato nei modi corretti e qui si sono inseriti partiti/movimenti anti-casta e populisti, trovando terreno fertile. La politica che proponeva Minniti sulla sicurezza e sugli ‘sbarchi’ sembrava forte per diversi partiti di centro-sinistra, invece secondo il leader nazionale della Lega veniva definita poco produttiva e fallimentare. I media e in particolar modo i social network attraverso alcuni esperti della comunicazione che hanno lavorato per i partiti di destra, sono riusciti ad orientare le future scelte politiche dei cittadini, con un risultato importante, tanto è vero che nel giugno 2018 si è creato un Governo, quello giallo-verde, con un baricentro di destra. Il leghista Salvini, nominato Ministro dell’Interno e Vice-Presidente del Consiglio ha condotto una politica estremamente aggressiva per quanto riguarda la sicurezza delle città e l’ingresso di immigrati nella nostra penisola. Un punto fondamentale da cui partire per analizzare la sconfitta di Ferrara è questo, la crescita della Lega a livello nazionale e il continuo / assillante messaggio di insicurezza, violenza e criminalità della ‘zona GAD’ ha influito parecchio. Quasi giornalmente sulla cronaca locale erano presenti articoli che raccontavano gli eventi che accadevano il giorno o i giorni prima nelle zone della stazione dei treni, Viale Costituzione, Piazzale Giordano Bruno e aree limitrofe.Non sono bastate le installazioni di nuove telecamere, la riqualificazione della zona stadio, l’apertura di una sede distaccata della Polizia Municipale, creato un punto di intermediazione sociale, è stata fatta una nuova pubblica illuminazione con un pattugliamento costante dell’Esercito Italiano (voluto dal Ministro Minniti), ma che puntualmente veniva tutto minimizzato dai locali componenti leghisti. Secondo punto, il caso Carife, anche qui difetti di comunicazione, il mancato dialogo con le persone coinvolte nella vicenda ha spalancato le porte a chi urlava con megafoni, facendo credere ai ferraresi di avere tra le mani la verità assoluta, gettando al contempo, ripetuti attacchi all’amministrazione in carica. Terzo punto, la chiusura delle circoscrizioni che ha impedito il continuo dialogo con il cittadino che aveva bisogno di soddisfare il proprio interesse, quello di essere ascoltato. Non solo, la circoscrizione offriva servizi e lavorava interponendosi tra il Comune e gli abitanti del territorio. Quarto punto, l’idea di “vecchio” che veniva ripetuto a mo’ di ritornello senza avere argomentazioni nel merito, ha comunque influenzato gli elettori, creando un vero e proprio ‘muro di gomma’ su cui era troppo complesso argomentare in modo differente cercando di far prevalere la ragione sul sentimento che è sfociato nel ‘voto di pancia’. Tutti i punti che ho specificato nelle righe precedenti hanno una base, si chiama comunicazione, quella su cui la Lega e altri partiti hanno investito e tutt’ora stanno investendo; mi piace sempre ricordare un concetto che sembra scontato ma non lo è, quello per cui se ‘si fa una cosa’, che può essere la più giusta del mondo sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo, ma non la si comunica (quindi non conosciuta dal cittadino), è come se ‘quella cosa’ non fosse mai stata fatta. Nel mandato Tagliani II sono stati commessi alcuni errori, altrimenti non si parlerebbe di sconfitta, ma altrettanto vero è che si sono attuate delle politiche corrette che non sono state valorizzate nel miglior modo. Per quanto riguarda la scelta del candidato, il centro-destra si è presentato unito su Fabbri fin da subito, iniziando la campagna elettorale anche prima del centro-sinistra. I due candidati di CSX, Modonesi e Fusari, più il M5S con Mantovani hanno sicuramente diviso la fetta di voti necessaria per eleggerne solo uno dei tre. Ora nell’ultimo passaggio è necessario ricollegarsi a livello nazionale al governo che allora, nel Conte I, vantava la maggioranza M5S e Lega; fattore che non deve passare inosservato poiché al ballottaggio molti elettori del Movimento non hanno votato o la maggioranza di chi c’è andato, ha votato Fabbri, comprensibile scelta politica. Tanto è vero che l’area elettorale di Fabbri al ballottaggio è aumentata (contemporaneamente l’affluenza è scesa) rispetto al primo turno, scontato quindi che chi ha votato un partito di centro-sinistra, dopo 15 giorni non cambi drasticamente idea e voti per il centro-destra. A questo ultimo dato non dimentichiamoci che a settembre 2019 il governo nazionale cade e il Conte II è formato inizialmente da PD, M5S,Leu e +Europa, ora immaginarsi un ballottaggio con elettori del Movimento che questa volta votano per il centro-sinistra ,il finale potrebbe non essere lo stresso.

Per ritornare alla guida del Comune di Ferrara tra 4 anni sono del parere che non esista una ‘ricetta’ o una serie di schemi rigidi da rispettare alla lettera. L’opposizione è un tipo di politica nuovo per tutti i partiti di centro-sinistra, quindi non possiamo già avere l’esmpio di un approccio precedente da cui prendere spunto o confrontarci. Io non immagino che l’opposizione debba essere fatta in un solo ed unico modo, anzi, posso ben capire che ci possono essere tanti modi di fare opposizione e che comunque dipendono da ogni singolo cittadino oltre che da un partito di riferimento, o una serie di partiti di riferimento. Dipendono quindi in buona parte dalle relazioni personali di un soggetto che ogni giorno può ritrovarsi a dover confrontare con altri soggetti la propria opinione. Dopo la sconfitta si è creato un po’ di subbuglio all’interno dei partiti di centro-sinistra, con lo stimolo di pensare già a nomi,cognomi, segretari e leader. Questo lo considero un grosso errore, che porta a conseguenze meno positive anche più di quanto ci si possa aspettare. Gli elementi che devono fungere da guida sono: atteggiamento propositivo, confronto tra le diverse anime di centro-sinistra e una discreta capacità organizzativa. L’elemento su cui non mi dilungo, ma dove è necessario apportare risorse è la comunicazione come già ho scritto nella risposta alla domanda precedente. Partire dagli elementi sopracitati, influenzandoli con la voglia di creare qualcosa di nuovo e stimolante per i cittadini può essere la chiave di una svolta politica nel Comune di Ferrara. Parto dal primo elemento, l’atteggiamento propositivo. È noto a tutti che la fretta è una cattiva consigliera, anche in questo caso è vero, prendiamo atto di uno stravolgimento generico che accade dopo diverso tempo; come è possibile in pochi mesi successivi all’evento trovare un nuovo assetto produttivo che riporta in equilibrio tutti i fattori? Impossibile. Lo studio delle cause sicuramente tocca una corda importante per la formazione del nuovo assetto. Queste cause vanno poi affrontate e capite, poiché solo dagli errori si riesce a rimediare ad uno stravolgimento che si spera sia temporaneo, altrimenti gli errori portano alla creazione di nuovi errori, un esempio su tutti: i calcoli algebrici di una espressione. Ecco, possiamo puramente utilizzare la metafora matematica per capire il problema; se ogni elemento che costituisce l’espressione viene risolto correttamente riusciremo ad ottenere il risultato aspettato, così in politica se i partiti e le liste riescono ad assicurarsi un equilibrio tra loro si otterrà il risultato sperato. Il fattore ‘calma’ non deve rallentare quel processo di riassestamento politico e di progressivo dialogo su cui costruire una visione di medio- lungo periodo, anzi, deve essere sintomo di riflessione su cui gettare solide basi che avranno la funzione di creare un percorso fruttuoso. Lo spirito propositivo deve partire sia dai partiti sia dai cittadini e deve svilupparsi in modo ordinato e senza dispersione di energie affinchè tutti riescano presentare le proprie idee. Come secondo elemento mi sono permesso di scrivere una cosa forse banale ma non scontata quale il confronto tra le anime del centro-sinistra. Solamente conoscendo e approfondendo le tematiche specifiche di ogni singolo partito/lista si riesce ad individuare quali sono i punti in comune, quelli in cui si può iniziare a lavorare insieme ed unire le forze. Il dialogo tra le persone e il confronto delle idee sono la strada maestra su cui è necessario partire, o meglio, ripartire. Quando non si conoscono gli argomenti per i quali tutti trovano ragionevole spendere le energie, non si potrà mai arrivare all’obiettivo finale. L’ultimo elemento che mi riservo di esporre in questa proposta rigurda la capacità organizzativa. Avere un sistema politico ordinato ed efficiente, come accennato in precedenza, semplifica molto il lavoro e aiuta ad utilizzare il tempo nel modo più corretto, servono quindi dei tasselli che possiamo anche definirli ‘ponti’ tra le diverse liste o tra i diversi partiti. Il dialogo ordinario tra le anime può essere svolto da figure chiave che velocizzano la circolazione delle informazioni, che volendo possono essere molto ricche di particolari e molto dettagliate, ma avendo come vettore solo certe figure si possono limitare la distorsione e la dispersione delle informazioni stesse. Creando un fronte di soggetti che condividono lo stesso pensiero si ritorna all’unità che da diversi mesi, probabilmente anni, è mancata sia a livello nazionale sia a livello locale. Lo sforzo non è indifferente, ma la voglia di crescere e collaborare per tornare alla guida della città sicuramente aiuta a ritrovare equilibri che nel tempo si sono sacrificati a favore della frammentazione politica. Come ultima cosa voglio sempre ricordare che parte dell’opposizione e della forza deriva dai cittadini che dobbiamo ascoltare in qualsiasi momento, altrimenti si perde il contatto con la realtà dei fatti, di conseguenza restano solo i dialoghi tra un ristretto gruppo di persone.


FERRI CATERINA

RIPARTIRE DAL SUCCESSO DELLE REGIONALI

Per rispondere seriamente a questa domanda, è necessario riepilogare brevemente la situazione politica nella quale si trovava il Paese, e quindi anche la città di Ferrara, nella primavera del 2019, poiché è ormai assodato che metà degli elettori orienta il proprio voto sulla base di una scelta emozionale basata sul sentiment comune del mese antecedente le elezioni, e non su un’appartenenza ideologica o partitica, come avveniva nel ‘900.

Nel marzo 2018 alle elezioni politiche il centro destra, e in particolare la Lega aveva ottenuto un numero di voti tale da eleggere nel collegio ferrarese della Camera dei Deputati la propria candidata, Maura Tomasi, raccogliendo consenso cavalcando e fomentando il sentimento di paura e insicurezza derivante dall’arrivo dei migranti, a cui si aggiunse il fallimento di CARIFE, meno urlato ma ben più pervasivo. Sappiamo bene che si tratta di un sentimento creato ad hoc, perché i numeri dicono ben altro, ma è passato a livello nazionale, e Ferrara non è avulsa dal contesto in cui è inserita, il messaggio legato all’”invasione”. Questo per quanto riguarda le cause più recenti. A questo va aggiunto, onestamente, da parte del centro-sinistra, l’aver da un lato sottovalutato la portata di questa ondata di paura e insicurezza, dall’altro non aver saputo comunicare ai cittadini in modo efficace i tanti risultati e investimenti ottenuti negli anni dall’Amministrazione. A tutt’oggi, oltre un anno dopo la sconfitta, la giunta Fabbri continua a inaugurare e proseguire lavori e investimenti iniziati e/o ottenuti grazie a finanziamenti provenienti dalla giunta precedente, che evidentemente non sono bastati a sostenere un’idea di città diversa da quella ora portata avanti.

Premesso che la debolezza che sta dimostrando il Partito Democratico a livello nazionale si riflette inevitabilmente su una debolezza a livello locale, credo che il centro-sinistra per riorganizzarsi debba partire dall’ottimo risultato delle elezioni regionali, che hanno visto un recupero, nel giro di pochi mesi dalla sconfitta alle elezioni comunali del 2019, di circa 5mila voti a livello cittadino. Questo da un lato per la compattezza della coalizione, dall’altro perché probabilmente il vero volto della giunta Fabbri era già emerso, con episodi che hanno portato Ferrara alla ribalta nazionale come esempio negativo, con consiglieri comunali che a vario titolo rivendicavano posizioni razziste e omofobe. Credo quindi che lavorare perché anche al di fuori del Consiglio comunale cresca una nuova classe dirigente capace, con un’idea di città accogliente e sostenibile, debba essere l’obiettivo dei partiti e dei movimenti che si riconoscono nei valori di centro-sinistra. Un’idea di città da costruire ripartendo dall’ascolto delle periferie, dalla proposta di politiche mirate alla riduzione delle disuguaglianze economiche e sociali, di uno sviluppo basato sulla sostenibilità ambientale e sui diritti dei lavoratori. Un percorso che porti le 71 persone che oggi sono coinvolte, ad essere il doppio, ancora meglio il triplo, nel giro di un paio di anni.


FIORAVANTI GIOVANNI

SENZA IDENTITÀ, NON C’È FUTURO

I segnali c’erano tutti un anno  prima, alle politiche del 4 marzo, il Centro destra compiva il sorpasso sul Centro sinistra con un 37,19% contro il 32,36%.

Questo risultato non ha scosso il centro sinistra ferrarese che è rimasto come un pugile battuto. Il Pd stordito, scompare dalla campagna elettorale per comparire all’ultimo momento con un candidato sindaco consapevole di aver perso in partenza, mentre qua e la spuntano singole candidature salvifiche e schegge della sinistra si danno da fare per mettere insieme all’ultimo momento liste civiche. 

Il problema primo è un Centro Sinistra privo di identità.  A livello locale è ancora più confusa e offuscata, perché è mancata e manca un classe dirigente all’altezza del compito, il Pd da questo punto di vista a Ferrara ha fallito, i volti sono sempre gli stessi e soprattutto non è stato in grado di favorire la formazione di una nuova classe dirigente.

La gente nel paese, come a Ferrara, vive una condizione di futuro scomparso dall’orizzonte e di presente precario sul piano dell’economia e dell’occupazione, pertanto era inevitabile che Sicurezza , Immigrazione e Europa matrigna mutassero la percezione politica della realtà, con caratteristiche locali proprie.

La politica di accoglienza compiuta dalla Giunta Tagliani ha portato a mutare il volto della città, il tessuto cittadino nel giro di pochi anni, suscitando negli abitanti della città la sensazione di sentirsi minacciati sul piano della sicurezza e scavalcati sul piano dei diritti e delle tutele. Si è ritenuto con troppa faciloneria che la città fosse in grado di assorbire questo cambiamento e non si è fatto nulla per accompagnarlo. L’impressione è che la questione della sicurezza e dell’immigrazione sia sfuggita di mano, sia divenuta più grande delle effettive possibilità della città.

Di fronte agli inevitabili conflitti che produce l’accoglienza dell’altro, all’estendersi della criminalità collegata allo spaccio della droga, con la soppressione delle Circoscrizioni è  venuto meno il luogo in cui le comunità di quartiere potessero sentirsi rappresentate, discutere, confrontarsi, mediare, fare da stanza di compensazione rispetto alle tensioni che hanno portato al costituirsi di ronde e manifestazioni simili sostenute dalle destre.

Richiamo qui rapidamente la questione della Cassa di Risparmio. Eclatante è stata l’incompetenza politica del PD e della Sinistra di fronte a centinaia di persone che ci hanno rimesso i loro risparmi e che non si sono sentite tutelate dai provvedimenti del governo  Renzi.

Manca la cultura di un grande schieramento Democratico capace di unire tutte le forze progressiste che si riconoscono nei principi della Costituzione, dell’Antifascismo, dell’europeismo e dell’ambientalismo. A questo oggi fa da ostacolo la nascita del Movimento 5S con le sue ambiguità e una sinistra capace solo di dividersi. 

Il difetto di fondo è che non esiste a Ferrara, ma anche a livello nazionale, un Centro sinistra portatore di un progetto in grado di parlare del presente per andare verso il futuro. 

Alla narrazione di pancia della Destra e della Lega, in particolare, occorre contrapporre una narrazione capace di parlare alla testa delle persone, di abbatterne i costrutti mentali su cui si base l’interclassismo della Lega. Allora è necessario ritornare ad essere popolari, perché si propongono soluzioni ai bisogni delle persone, non negli angusti confini del proprio cortile, ma chiedendo un nuovo protagonismo per costruire un progetto di futuro comune.

Ora è necessario che il Centro sinistra questo progetto ce l’abbia per il futuro della città, mutando i paradigmi finora usati, facendo della città una comunità di coinvolgimento e di partecipazione, di risorse da valorizzare a partire dai suoi giovani, chiedendo il protagonismo dell’ università, delle scuole, delle istituzioni culturali, combattendo la politica di appropriazione privatistica della cultura fatta propria da questa giunta con il Castello e la Collezione Sgarbi.

Occorre essere a fianco dei cittadini nei quartieri per intercettarne le necessità, per promuovere dialogo e confronto, da subito se si vogliono costruire le condizioni per riconsegnare al centro sinistra il governo della città.

È assordante il silenzio dei democratici  e dei progressisti della città nei confronti degli atti di questa giunta.

Di Costituenti è costellata la storia del Centro sinistra, ma di una nuova Costituente ha bisogno la città, una Costituente di tutte le forze democratiche e progressiste capace di darsi un programma forte di futuro nuovo, coinvolgente per la città. Questa è la scommessa da fare anche contro alle forze che pensano al loro orto come il M5S e i tanti gruppetti della sinistra più o meno radicale.

Il momento è grave per la città, l’unità di tutte le forze di buona volontà è imprescindibile, su questa strada bisogna camminare da subito.


FRANCHI MAURA

DOPO LA PANDEMIA, LE SFIDE SONO COMPLETAMENTE NUOVE

Dalle elezioni del 2019 ad oggi è trascorso un anno che sembra un secolo. 

E’ vero che l’impossibilità di fare i conti col passato (recente e remoto) è stata, e resta, alla base della crisi odierna della sinistra. Nei decenni, mentre la sinistra continuava a cercare nuovi nomi e nuove aggregazioni, a sperimentare alleanze che compensassero l’erosione interna, era sempre più chiara la difficoltà di trovare il filo di un nuovo discorso sociale, in linea con le trasformazioni dello scenario globale. 

Ma ci sembra, almeno è così per me, che parlare del passato sia ormai insufficiente e addirittura fuorviante. 

L’epidemia ha resettato completamente l’agenda politica, soprattutto ha cambiato il clima sociale, i principali temi di preoccupazione riguardano oggi i temi del lavoro, della salute e della sicurezza. Saranno questi i temi più sentiti dalle persone. Su questi si svilupperanno vecchie e nuove diseguaglianze: pensiamo alle terapie, all’accesso all’istruzione, ai luoghi della vita. Sulla percezione di insicurezza si è giocata in buon parte la sconfitta del 2019. 

Mettersi in sintonia con i sentimenti, le attese, i bisogni che attraversano i discorsi diffusi, significa fronteggiare le preoccupazioni che riguardano il presente.

Si tratta di lavorare alacremente per trovare una direzione di marcia in grado di sostenere progetti di futuro, per arginare i rischi di ripiegamento. La situazione non è certo priva di preoccupazioni. Le giuste regole di distanziamento, hanno indotto un diffuso senso di solitudine. La chiusura delle scuole ha privato i nostri bambini di esperienze di apprendimento che non potranno essere recuperate e che peseranno soprattutto sui meno abbienti. 

Gli anziani saranno sempre più esclusi da un processo di digitalizzazione che diventa inevitabilmente discriminante per l’accesso alle cure mediche (prenotazioni, relazioni con il medico), alle informazioni e al tempo libero. 

Insomma la qualità del governo locale deve trattare temi nuovi e molto concreti, in grado di fare la differenza rispetto al benessere delle persone. Il benessere è sempre più correlato anche all’ambiente urbano. Ad esempio Ferrara ha un grande patrimonio di verde e di giardini, ma in gran parte poco “arredati” affinché siano luoghi di convivenza, luoghi di scambio e di una fruizione ampia. Per le famiglie come per i molti che fanno proprie le buone pratiche delle attività fisiche, Ferrara offre spazi naturali significativi, ma poche aree ben attrezzate e dedicate ai diversi segmenti di popolazione che potrebbero utilizzarle. 

Qualcuno afferma che assisteremo alla rivincita delle periferie, nel momento che lo smart work non richiede più spostamenti quotidiani. Quali progetti saremo in grado di immaginare per Ferrara? Su questo sarebbe interessante avviare un processo di ampia consultazione e di dibattiti su temi mirati.

Il nostro lavoro sta cambiando. La reclusione ci ha indotti a sperimentare modalità nuove di lavoro da casa. Un fatto importante e positivo che rappresenta una delle più durature conseguenze della pandemia. Difficile immaginare, per molte ragioni che non ho qui la possibilità di argomentare, che questa esperienza sia riassorbita. Non sono in gioco solo le forme della negoziazione (che non ci interessano in questa sede, anche se rappresenteranno una sfida decisiva per la sopravvivenza del sindacato) ma questioni che riguardano la trasformazione delle case in luoghi di lavoro. L’individualizzazione dei rapporti di lavoro non potrà che incrementare lo sbriciolamento della rappresentanza. Quale futuro del lavoro possiamo immaginare? 

Se la pratica dello smart working diventerà stabile per un gran numero di lavoratori, che tipo di conseguenze possiamo immaginare per la città? come cambieranno i rapporti tra centri e periferie? 

Dovrà essere ripensato il design delle città senza dubbio. Nel frattempo come facciamo fronte agli enormi dislivelli di competenze digitali nelle diverse fasce della popolazione? Continuiamo a pensare che le competenze sufficienti siano quelle che ci consentono di fare le foto ai nipoti e di postarle su facebook? Su questo punto si gioca in larga parte la grande segmentazione sociale del futuro.

Dalle numerose analisi che si sono avviate su questi temi emerge una larga serie di spunti per comprendere i mutamenti radicali che in pochi mesi hanno toccato le nostre vite a partire dal lavoro. 

In estrema sintesi a livello locale la sfida è sulla qualità della vita, che comprende la salute e tutto ciò che sostiene il lavoro. Pensiamo da questo punto di vista alla conciliazione dei ruoli lavorativi e familiari) e sulla gestione delle forti innovazioni che caratterizzeranno il nostro tempo.

L’esperienza della pandemia ci ha imposto nuove riflessioni sul ruolo della politica, sul rapporto tra pareri degli esperti e sulla possibilità di individuare nuove modalità per la sintesi. Il rapporto tra politica e competenze dovrà essere ripensato. Questo riguarderà anche i livelli locali. Sulla difficoltà di individuare candidati sufficientemente forti si è giocata la sconfitta elettorale.

La grande trasformazione del lavoro indotta dallo smart working, segnala anche cambiamenti inattesi, come ad esempio il design delle abitazioni, i rapporti tra centro e periferie, la trasformazione dei contesti domestici. 

Questa forma organizzativa renderà più sfumata la distinzione tra vita professionale e tempo libero, ma ciò che più ci interessa indagare in queste note, riguarda l’ipotizzabile declino dei corpi intermedi e del sindacato. L’individualizzazione dei rapporti di lavoro degli stessi non potrà che incrementare la frammentazione delle posizioni di lavoro e lo sbriciolamento della rappresentanza. Quale futuro del lavoro possiamo immaginare? Il termine, divenuto improvvisamente di uso comune, si riferisce ad una prestazione che non prevede un luogo fisico, ma può essere svolta nella propria abitazione, in un pub o in un parco, in qualunque luogo in cui si possa disporre di un dispositivo digitale. Il monte ore è gestito dal lavoratore, l’importante è raggiungere l’obiettivo prefissato in accordo con l’azienda. Si tratta, quindi, di un sistema che consente di lavorare, con il supporto delle tecnologie digitali, fuori da luogo abituale e di decidere orari e luoghi.

Tra gli aspetti apprezzati: la possibilità di lavorare in qualsiasi luogo e di evitare gli spostamenti pendolari. Per la maggior parte delle persone, la capacità di sostenere conversazioni impegnative in teleconferenza è percepita come un’occasione di crescita.

Tuttavia, senza orari di lavoro definiti, molte persone hanno percepito una difficoltà a separare tempo personale e professionale. Inoltre, la mancanza di comunicazione tra persone può rappresentare un disagio. 

Lo smart work spinge verso un’individualizzazione del lavoro. Qualcosa di simile, era accaduto con le partite iva, che avevano anticipato le modifiche contrattuali indotte dall’individualizzazione dl lavoro. Il tema dello smart work non può essere ricondotto ad una mera questione sindacale. Il tema presenta implicazioni sociali e affonda le radici all’interno alle trasformazioni radicali indotte dalle tecnologie digitali. 

Vantaggi e svantaggi possono essere discussi. Ad esempio alcuni manager ritengono che la coesione del gruppo e la cultura aziendale possano risentire del fatto di non lavorare nella stessa posizione fisica, al contrario le riunioni virtuali possono comportare un notevole risparmio.

Certo lo smart work s’innesta sulla profonda trasformazione indotta dalle tecnologie nella organizzazione del lavoro, è quindi prevedibile che la crescita dello stesso andrà ben oltre le necessità indotte dalla pandemia.

Ho accennato a questo tema perché è denso di implicazioni per la vita delle città e quindi investe il ruolo delle istituzioni locali. 

Per quanto riguarda il futuro, tra le criticità dobbiamo immaginare l’inadeguatezza delle abitazioni rispetto alle diverse esigenze di connessione digitale all’interno della famiglia. In prospettiva è possibile che le abitazioni saranno progettate assumendo l’esigenza di spazi che consentano riservatezza e concentrazione individuali per i diversi membri della famiglia.

Il lavoro a casa assume una sorta di “professionalizzazione” del rapporto di lavoro in cui l’azienda fissa gli obiettivi e misura le performance individuali. Quale spazio resta per il sindacato?

Le implicazioni della grande trasformazione del lavoro indotta dallo smart working, segnala un ulteriore declino dei corpi intermedi e delle forme di rappresentanza collettiva. L’individualizzazione del rapporto di lavoro spingerà il sindacato ad una micro contrattazione, sempre più lontana da una identità di rappresentanza complessiva di una categoria di lavori. Con uno smart working di massa, assisteremo ad un passo avanti verso una polverizzazione della rappresentanza. Quale nuovo contratto sociale dovrà essere costruito?

Un altro termine è diventato rapidamente di moda: smart cities. Sul tema, scopriamo oggi che esiste una lunga letteratura che risale a molti decenni fa e che non è mai stata oggetto di dibattito politico. Non vi è dubbio che su questa “dimenticanza” si è giocata in gran parte la partita dell’innovazione dei territori.

La necessità di politiche per l’inclusione dei cittadini resta forte. In larga parte l’inclusione pasa dalla configurazione della città. La città è il luogo in cui spendiamo il nostro tempo di vita. Anche in questo caso le competenze tecnologiche sono tutt’altro che adeguate.

Quando questa emergenza sarà superata nulla sarà come prima. Dovremo re-immaginare nuove politiche sociali a livello locale e una innovazione fortemente coesiva. Ci è chiaro che la segmentazione sociale avviene e avviene nella separatezza degli spazi di vita. I giardinetti dei bambini non sono solo servizi per l’infanzia, o decori d’obbligo. 

Non da ultimo, uno degli esiti inevitabili del post crisi sarà una pervasività sempre maggiore della dimensione digitale della nostra vita economica e sociale. Questo scarto richiederà un ripensamento importante. Resta aperto il tema della cittadinanza digitale, perché su questo tema si giocheranno le prossime diseguaglianze sociali 


FUSARI ROBERTA

USCIRE DALLA CAPPA DI PAURA E INVESTIRE SUI GIOVANI

Manca una visione di futuro. Forse questa è stata una delle
cause della sconfitta, insieme a molte altre, tutte evidenti.
A Ferrara non è bastato saper amministrare bene, è mancata
una strategia, si è arrivati al momento atteso da anni
completamente impreparati, dando per scontate troppe cose.
Mi limito a queste minime considerazioni, sono l’ultima a poter
fare analisi politiche e, sinceramente, non mi interessano molto.
Preferisco cercare di capire come guardare avanti, come
recuperare lo spazio perso, e come far tornare il piacere di
vivere in questa città.
Alle elezioni dello scorso anno Azione Civica, Coalizione Civica,
+Europa e Art.1, con un programma chiaro, quattro soldi e in
pochi mesi, hanno ottenuto un risultato eccezionale. E’ stata la
dimostrazione che lo spazio a sinistra c’è, insieme alla
necessità di esserci con dei contenuti condivisi.
Essere ambiziosi, credo sia necessario; il centro-sinistra, la
sinistra e il civismo già organizzato, devono condividere un
progetto, tra loro e con le persone, ed essere coerenti nel
portarlo avanti. Visione lunga e coerenza delle azioni, credo
che sia l’unico modo per governare la complessità.
Occorre individuare linee comuni, portarle fuori dai gruppi
ristretti già consolidati e più operativi, aprirsi, trovare modalità
nuove per condividere con le persone visioni e contenuti,
perché non basta l’ascolto. E’ necessario costruire occasioni di dialogo e confronto, per elaborare un progetto comune, che
nasca condiviso e quindi sentito “proprio” da tutti.
Dobbiamo uscire dalla cappa di paura e di timore del mondo, di
chiusura verso tutto e tutti creata e continuamente alimentata
dalla propaganda della destra, che poi non risolve nulla;
occorre fare l’opposto e guardare a questo momento di rottura,
di crisi di valori come un punto di ripartenza; occorre diventare
un nuovo punto di riferimento, non solo l’alternativa migliore.
Quale futuro vogliamo per la nostra comunità e il nostro
territorio?
Siamo un territorio che invecchia, arretra, si chiude sempre più
in se stesso, che si riduce in termini di abitanti, spingendo i
pochi giovani in altri luoghi alla ricerca di lavoro.
Eppure abbiamo potenzialità enormi: una grande università,
una qualità paesaggistico-ambientale unica e riconosciuta
universalmente (di cui forse non ne siamo pienamente
consapevoli), una cultura profonda che non può non consentirci
di guardare all’oggi e al futuro con occhi innovatori, pensando al
benessere delle persone.
Tutti elementi che possono far diventare il nostro territorio
attrattore di lavoro e di persone, seguendo un modello di
sviluppo calato sulla nostra realtà, non imitando modelli altrui,
oggi antistorici. Lo sviluppo non può che essere sostenibile, e
noi siamo il luogo adatto per dimostrarlo, tracciando una via.
Serve una visione di questo territorio aperta, inclusiva,
attraente, in relazione col mondo, con un ritrovato senso di
comunità attiva e propositiva, con la quale confrontarsi e
progettare per il bene comune, questo credo sia il centro da cui
partire per riunire le persone che si identificano nei valori del
centro-sinistra e della sinistra, che vogliono di meglio rispetto a
ciò che stiamo vivendo.

Infine, occorre investire sui giovani, per quel ricambio
generazionale della classe politica che tanto sarebbe utile a
questo territorio, superando i personalismi a favore di
leadership individuate e riconosciute attraverso il lavoro che
sapremo svolgere in questi prossimi anni.


GIUBELLI PAOLO NICCOLÒ

PER VINCERE SERVE UNA LEADERSHIP AUTENTICA

Se volessi trovare una raffigurazione della sconfitta alle elezioni amministrative immaginerei una torta composta da vari strati, con gusti e sapori diversi.

Tre ingredienti sono stati particolarmente importanti: uno è esotico e sta colpendo tutto l’Occidente: è la sfiducia verso un certo tipo di politica che ha le sue radici nei primi anni ’90 e che ha reso i partiti figli di quella stagione molto più deboli. Nel mirino ci sono la globalizzazione e la democrazia liberale, due pilastri delle regole del gioco contro cui nessun partito con ambizioni di governo si sarebbe scagliato anche solo 10 anni fa. In questo cambio di contesto gli outsider sono diventati partiti di maggioranza (o quasi) con un PD che per stare in gioco si è alleato con la forza politica più pericolosa del Paese (speriamo indossando una mascherina adatta per evitare pericolosi contagi populisti).

Il secondo ingrediente è nazionale, ed è stata la gestione della crisi delle banche da parte del governo Renzi. Senza entrare nel (complicato) merito, il fatto è che l’affaire CARIFE ha toccato nel portafoglio molti concittadini (tra cui il sottoscritto). Questo li ha fatti molto arrabbiare.

Il terzo ingrediente è a “Km 0”, ed è la sfiducia verso un’amministrazione che non solo non ha risolto il problema della sicurezza percepita, ma che si è permessa di controbattere ad alcuni cittadini appellandoli come visionari. La protervia è inaccettabile tra pari, ma diventa letale quando non si capisce che in democrazia è l’elettore che ha più potere contrattuale, in particolare durante le elezioni. Se l’immagine che trasmetti è quella di un potere cieco, sordo e che sembra voler fare a meno dei cittadini, tra l’altro nell’era della disintermediazione più sfrenata, non c’è da aspettarsi altro che una batosta. 73 anni di governo ininterrotto di certo possono far credere di essere indispensabili, ma questo è solo l’effetto perverso dell’assenza di alternanze.

Bisogna capire innanzitutto che il futuro è tale perché ancora non c’è: va dunque costruito a partire da oggi, dall’opposizione. Non fa presa sui cuori un’opposizione che compie piccole sortite contro piccoli aspetti tecnici di gestione del potere, perché il mondo fuori dal Palazzo ha altro a cui pensare, a cominciare dall’economia che crolla. Serve dunque una ricognizione a tappeto dei bisogni dei cittadini, da fare a contatto con loro, per strada, avvalendosi di esperti nello studio dei dati. Poi serve un’idea di sviluppo della città e di gestione dei fenomeni di degrado, a cominciare dall’ascolto attivo e percepibile da parte di chi ha visto crollare il valore degli immobili e l’avanzare dei fenomeni di spaccio e violenza. Tutto questo deve diventare la base su cui costruire l’azione oggi di opposizione e domani di governo. Di più: serve comunicare tutto questo ai cittadini in modo semplice ma ripetuto e continuo, incominciando il prima possibile.

Serve una campagna di comunicazione focalizzata e continuativa, perché la campagna elettorale è esattamente il momento in cui i cittadini sono più impermeabili alla comunicazione politica e dove il nome del vincitore è già nell’aria. In campagna elettorale si mettono in campo le tattiche, non si crea la strategia.

Per ultimo, ma non per importanza, serve una figura forte disponibile a candidarsi. La forza è oggi nella virtù di saper ascoltare, di voler instaurare un rapporto diretto coi cittadini trovando anche nuovi modi (e luoghi) per farlo. Non serve di certo un sindaco follower, ma leader. Serve che sappia passare dalla visione al progetto, senza trascurare la progettualità, gestendo bene l’aspettativa dei propri cittadini, perché vincere senza poi convincere è una vittoria mutilata ed è sostanzialmente inutile. L’attuale amministrazione in tutto questo è molto più debole di quanto si pensi, dunque bisogna giocare in attacco e batterli per merito nostro e non demerito loro.


GIUBELLI PIERO

SERVE UN CENTRO SINISTRA POPOLARE E NON ELITARIO

La sconfitta del centro sinistra a Ferrara è da ricercarsi nell’avere gestito la città, da parte delle medesime persone per due decenni, in modo distaccato dalla maggior parte della popolazione, non averne interpretato bisogni e timori, non avere progettato un futuro della città per i prossimi venti anni.

Queste stesse persone, nei cui confronti si erano già levate numerose critiche, anche in ragione di loro improvvide esternazioni, sono state imposte all’elettorato di centro sinistra, senza che potesse essere individuata un’alternativa che potesse costituire un punto di rottura con il passato.

Anche altre candidature, apparentemente civiche e indipendenti, provenivano dalla medesima Giunta uscente e non erano, come tali, credibili, almeno sotto il punto di vista della rottura rispetto al passato.

A ciò si aggiunga il dibattito interno da parte di quella sinistra che si ritiene unica depositaria dei veri valori di questa area politica, che appare totalmente avulsa dalla realtà, dai bisogni di quello che ritengono il loro elettorato di riferimento – che invece vota altrove- imprigionata in una bolla temporale di una realtà distopica, come se vivessimo in un mondo parallelo fermo agli anni ’70 del secolo scorso.

Anche la cultura è stata gestita in modo elitario, senza mai svolgere quel ruolo pedagogico che avrebbe dovuto avvicinare alle arti quella parte di popolazione che ne è sempre rimasta lontana ed estranea.

Ma l’elettore di centro sinistra era anche stanco di osservare che a godere degli interessi di tale prolungato potere non fosse la parte politica al governo della città da 70 anni ( il che sarebbe comunque sbagliato di per sé), ma un ristretto cerchio di persone, legate da interessi economici personali, che, peraltro, continuano a fare affari e ad avere incarichi anche con la nuova Giunta, prova del fatto che il loro potere e la capacità di riposizionarsi è più forte di quanto non possa credersi.

La popolazione ferrarese voleva un cambio di persone, più che di colore politico, alla guida della città. L’unica alternativa possibile, non essendoci uno spazio credibile civico e moderato, era la giunta di centro destra guidata dall’attuale sindaco, scelta obbligata anche per sfiduciare l’arroganza con la quale si erano imposti i vecchi membri della nomenclatura cittadina.

Se gli assessori della precedente Giunta non avevano mai incontrato nemmeno i dipendenti comunali, gli attuali amministratori sono sempre presenti, come avviene in un piccolo paese e questo genera consenso. Quello che, invece, non sono riusciti a impedire che coloro che facevano affari prima – non sto parlando di affari necessariamente illeciti, anche se non sempre del tutto trasparenti- continuino a farlo adesso, escludendo dalla vita economica cittadina, professionisti e imprenditori che sono sempre stati esclusi dal gioco, in favore di pochi fortunati (chiamiamoli così).

Un centro sinistra che voglia vincere deve essere popolare e non elitario, essere presente nei quartieri quando avviene qualcosa che coinvolge la vita della gente, fornire proposte concrete in termini di occupazione, di sicurezza, di felicità, allargare a tutti la possibilità di partecipare alla vita economica della città, ampliando il numero delle persone che possono ricevere commesse ed incarichi, secondo criteri di trasparenza e non clientelari.

Deve avere una visione moderna della città ed immaginarsela tra venti anni, europea e vitale, e convincersi che le elezioni si vincono con il maggior numero di elettori che votano quella compagine, senza farsi condizionare sia da chi, pure necessario, rappresenta una sinistra che, elettoralmente, è estinta da anni e nessuno glielo ha ancora fatto presente, sia da chi, senza alcuna visione politica, è interessato unicamente alla propria elezione personale.


GUIETTI GIULIANO

BISOGNA COSTRUIRE UN’ALTERNATIVA CREDIBILE

Sui motivi della sconfitta di un anno fa sono già state dette molte cose condivisibili. È chiaro che c’è stato un concorso di cause. Il quadro generale è quello di un arretramento delle ragioni della sinistra in tutto il mondo, della sua incapacità di comprendere i cambiamenti in corso fin dagli anni ‘80, della crisi dei partiti e dei sistemi democratici, fino alla crisi economica esplosa nel 2008 e per alcuni aspetti non ancora terminata. Poi, a livello nazionale, la crisi del principale partito della sinistra, il PD, uscito distrutto dagli anni della gestione Renzi. Poi, a livello locale, le vicende, già da molti ricordate, della Cassa di Risparmio e del GAD. A tutto questo aggiungerei la accentuata dissoluzione del Partito Democratico a livello locale, che ha portato ad una gestione della fase pre-elettorale che è apparsa dall’esterno incomprensibile, tra il suicida e il rassegnato. Coronata infine nella scelta di un candidato votato alla sconfitta certa, non per propri demeriti, ma perché per storia e immagine rappresentava tutto ciò che avrebbe inevitabilmente scoraggiato la parte più indecisa dell’elettorato di sinistra. Io penso che l’Amministrazione uscente abbia operato bene in molti campi, ad esempio nella cultura ma non solo, e sia stata  in gran parte caricata di colpe non sue. Tuttavia era chiarissimo che dopo 10 anni di crisi dura avrebbe vinto chi, a prescindere da tutto, si sarebbe presentato con un profilo di innovazione, in qualche modo anche di rottura e non di semplice cambio di passo. Un profilo siffatto ha bisogno di persone che lo incarnino, di percorsi di costruzione che coinvolgano la società civile e i cittadini, non semplicemente di qualche affermazione scritta nei programmi o gridata nei comizi. È quello che purtroppo è drammaticamente mancato.

Adesso siamo in piena traversata del deserto, con un governo cittadino caratterizzato da diffusa incompetenza e da una concezione proprietaria della cosa pubblica, che rischia, tra l’altro, di dissestare le finanze comunali.

Ma non basterà a fargli perdere consenso, se non sarà in campo un’alternativa credibile, alla quale bisognerebbe cominciare a lavorare da subito. Un’alternativa è fatta di modalità, di programmi e di persone. Io partirei dalle prime, perché sono il punto oggi forse più critico. Il Pd, lo dico un po’ crudemente e senza venir meno al rispetto per molte persone stimate che vi dedicano il proprio impegno, si è dissolto, e si è trasformato nel migliore dei casi in un raggruppamento di amministratori accanto ad un manipolo sempre più ristretto di generosi volontari. Né può consolare il fatto che, tranne poche lodevoli eccezioni, sia accaduto così un po’ dappertutto, in Italia. Del resto, è la stessa forma-partito che ormai non convince più, anche e forse soprattutto nella sua versione “partito leggero”  “a vocazione maggioritaria” che tanti disastri secondo me ha generato nel nostro Paese. Ma non si tratta di chiedere abiure o atti di contrizione a nessuno. Della sinistra che c’è sarebbe necessario, oltre che ecologico, cercare di non buttare niente, o comunque il meno possibile. Anche perché credo davvero che nessuno dei tanti frammenti nei quali è sbriciolata abbia la verità in tasca. Anzi, credo proprio che quelli che sono convinti di possedere una Verità e di doverla diffondere, siano gli unici da abbandonare amichevolmente al proprio destino.

Occorrerebbe invece cercare di costruire un percorso comune, nel quale le varie anime e le varie persone possano ritrovare una ragione di confronto e di ascolto reciproco, fuori dagli schemi, partendo dalla realtà, che è sempre più ricca e complicata di come la immaginiamo. I temi da cui partire sono in parte già stati detti. Ad esempio: come consentire ai più giovani (tra cui i tanti studenti universitari che vengono qui a studiare) di acquisire più in fretta una maggiore autonomia e una maggiore possibilità di incidere sulla vita cittadina; come combattere il senso di solitudine e di fragilità che affligge una parte crescente di una popolazione che è tra le più anziane d’Italia; come saper cogliere e promuovere, dentro il fenomeno migratorio, il valore del contributo che può derivarne (e che già ne deriva, quando ne sono state create le condizioni) alla crescita della qualità della vita sociale, contemporaneamente combattendo i comportamenti irrispettosi del bene pubblico e adeguatamente reprimendo quelli delittuosi; come migliorare la qualità della vita urbana, investendo sulla digitalizzazione, allargando la ztl e riducendo in generale il transito veicolare, soprattutto quello dei veicoli più grossi e di carattere commerciale; come, infine, creare le connessioni e le alleanze territoriali oggi indispensabili per attrarre investimenti pubblici e privati e per creare quindi valore aggiunto e occupazione qualificata.

Naturalmente è un elenco del tutto parziale, l’importante è che un percorso si avvii e da questo punto di vista credo che l’iniziativa di Mario di aprire questa discussione pubblica sia assolutamente meritoria.


LAVEZZI FRANCESCO

GLI ERRORI DELLA SINISTRA NEL TURBOCAPITALISMO 2.0

Nel febbraio 2016 Ferraraitalia pubblica un mio intervento  dal titolo “Gli errori della sinistra nell’era del turbocapitalismo 2.0”, che qui riproporrei (con alcune modifiche), anche se le riflessioni non riguardano il contesto specifico ferrarese.

Se si prende per buona la distinzione di Norberto Bobbio tra destra e sinistra (1994), la prima è tradizionalmente portatrice dei valori di libertà, mentre la seconda di quelli della giustizia.
Dovremmo perciò trovare nel campo culturale della destra impegno e attenzione per rimuovere prioritariamente gli ostacoli alle libertà personali, a partire dalla libertà d’iniziativa in campo economico: le libertà borghesi. In quello della sinistra, invece, dovremmo trovare pari determinazione per affermare in primo luogo l’uguaglianza, la riduzione delle distanze, delle differenze.
Se fosse così, in un mondo nel quale ogni indagine e osservatore puntano il dito su distanze sociali ed economiche mai viste, ci si aspetterebbe la vittoria politica delle sinistre. E invece non avviene. Senza contare che laddove sono al governo più d’uno avrebbe dei dubbi nel definirle tutte ‘Sinistra’.
C’è, infatti, chi per sinistra intende che “anche i ricchi devono piangere” e chi, invece, al posto di un piagnisteo generale preferisce il modello più riformista di “tosare la pecora” capitalista, perché se si ammazza l’ovino poi non rimane più nemmeno la lana da redistribuire.
E’ il compromesso fra capitale e lavoro di cui parla anche Habermas in “Crisi di razionalità nel capitalismo maturo” (1973), in cui smentisce – come prima di lui Weber – l’analisi ortodossa marxista basata sul binomio struttura-sovrastruttura: non è per via razionale (cioè per lo scoppio endogeno delle contraddizioni economiche allevate dentro di sé: la struttura) che entra in crisi il capitalismo, ma per deficit di legittimazione, spostando così l’asse dell’analisi a quella che Marx avrebbe definito la sovrastruttura (per lui non determinante) del sistema socioculturale.
Ma allora perché se tutte le premesse sociali ed economiche ci sono, la sinistra fatica ad imporsi sul piano politico?
Giuseppe Berta ha provato a dare una spiegazione nel suo “Eclisse della socialdemocrazia” (2009).
Osservando la parabola delle sinistre europee, principalmente nelle due declinazioni britannico-laburista alla Tony Blair e tedesca, lo studioso e docente bocconiano ha ravvisato due punti limite di quelle esperienze.
Nel tornante storico decisivo della globalizzazione dell’economia e dei mercati, sostanzialmente nel passaggio di secolo tra il XX e il XXI, la socialdemocrazia avrebbe compiuto l’errore fatale di credere che semplicemente assecondando un capitalismo che con la caduta delle barriere aveva messo il turbo, ci sarebbe stata ricchezza per tutti.
E’ la scommessa, blairiana e non solo, di puntare politicamente sugli skills, le capacità e su un deciso sforzo di formazione per cogliere tutte le opportunità dell’economia della conoscenza, piuttosto che giocare difensivamente sui sussidi e altri strumenti del tradizionale asse Trade Unions – Labour. Da qui anche la stagione, tuttora in corso, di politiche del lavoro che chiedono cambiamenti, specie sul versante dell’offerta piuttosto che a quello della domanda, nel nome della flessibilità e della capacità di adattamento pretesa, e imposta, da mercati sempre più imprevedibili, volatili, just in time e delocalizzabili da un giorno all’altro secondo le convenienze.
La crisi, altrettanto globale, scoppiata tra il 2008 e il 2009, avrebbe rappresentato il capolinea (l’eclisse) di una socialdemocrazia teorizzata e declinata nella “Terza via” (Giddens), oltre che la fine politica del New Labour di Blair.
L’eccesso di fiducia in un sistema capitalistico che prometteva ricchezza illimitata, tutta giocata sul terreno delle opportunità piuttosto che su quello giudicato arcaico delle garanzie, nonché artificialmente basata sulla storica caduta del muro di Berlino che aveva bloccato il mondo novecentesco (la fine della storia), avrebbe fatto perdere di vista i mali di quel sistema. E dunque, lasciato correre a briglia sciolta, il capitalismo si è schiantato contro un nuovo muro di carta, più effimero ma non meno velenoso: quello della bolla finanziaria.
Luciano Gallino è stato fra quelli che hanno descritto le radici di questa illusione, contestualizzando lucidamente in questa crisi strutturale del capitalismo anche le conseguenti, per nulla inevitabili, politiche del rigore che si sono abbattute sui sistemi di welfare, da sempre strumento innanzitutto valoriale della cultura della giustizia sociale.
Sul versante del retroterra elettorale della sinistra, si è poi assistito al progressivo formarsi della società dei “due terzi”: quella che già Braverman in “Lavoro e capitale monopolistico” (1974) descrisse come l’evoluzione terziarizzata della società capitalistica dei servizi, più che delle fabbriche. Senza contare che ciò che Pasolini definiva il sottoproletariato urbano delle periferie, oggi è sempre più serbatoio delle nuove destre con venature localistiche, egoistiche e xenofobe, in preda alle nuove paure dell’insicurezza, ai contraccolpi di politiche dell’integrazione, ormai a corto di respiro e di risposte e alle prese con la coperta sempre più corta di un welfare assediato dal mantra del rigore e del risparmio.
Il filosofo Remo Bodei nel febbraio 2016, proprio a Ferrara, ha ricordato i pericoli di un sistema capitalistico che col processo di automazione 2.0 ha accelerato a dismisura le potenzialità della produzione, espellendo lavoro ben oltre le capacità legislative di crearlo all’interno degli inadeguati spazi nazionali, nonostante tutte le possibili flessibilità.
E il sociologo Bauman in un’intervista su L’Espresso del 18 febbraio 2016, parlava dell’era di internet (ulteriore sfondamento sul terreno immateriale del sistema di produzione globale) come di un mondo sì a portata di dito, ma nei termini non di una comunità, bensì di una realtà sempre più puntiforme, isolata, che intrattiene rapporti virtuali e in cui, per tornare al tema, prevalgono le ragioni della distanza, della differenza, di un’inarrestabile diversità plurale, policentrica e conflittuale.

In un tempo impaurito da crisi economiche, catastrofi ambientali e pandemiche, e riparatosi nella sfera dell'”io” rispetto al “noi”, si aggiungono poi le ragioni più contingenti – nazionali e locali – di una sinistra che fatica a trovare sintesi e unità politica e, talora spiazzata, si trova a rincorrere temi imposti all’agenda politica da altri e in pieno stile populista: i costi della politica, l’immigrazione, le riforme, il fisco, le pensioni, il risanamento dei conti pubblici…

Oltre l’orizzonte di una vittoria elettorale, l’impressione è che la sinistra debba ritrovare la credibilità di un senso di marcia e ricostruire le ragioni della giustizia e dell’uguaglianza sul piano della convenienza, oltre che su quello etico, in un mondo che sta lasciando correre le disuguaglianze, sempre più disintermediate, a rischio del suo stesso suicidio.


LUGLI DANIELE

UNA VISIONE POSITIVA CONTRO GLI ORIENTAMENTI DISTRUTTIVI

Settantatré anni fa dunque, fine marzo 1946, elezioni del Consiglio comunale di Ferrara: Partito comunista italiano 44%, Partito socialista italiano di unità proletaria 30%, Partito repubblicano italiano 2%, Democrazia cristiana 21%, Indipendenti 3%. La maggioranza di sinistra ha il 76% dei voti. Sembra di essere tornati a 25 anni prima quando tutti i comuni, compreso il capoluogo, e pure la Provincia sono governati dai socialisti. Tutti i comuni nelle elezioni del ’46 (per la Provincia si voterà anni dopo) sono infatti conquistati da comunisti e socialisti assieme. Fatta eccezione per Ferrara nel resto della provincia vi è una leggera prevalenza dei socialisti sui comunisti, più netta a Portomaggiore (dove i socialisti si presentano da soli e vincono le elezioni) e a Cento. Il fascismo sembra essere stato una brutta parentesi da dimenticare.

Non è così. Se non si analizza il passato, non c’è futuro, ripete Mario Zamorani. Studi di Paul Corner, di Sandro Roveri, di Davide Mantovani ci hanno detto del logoramento interno, delle oscillazioni, contraddizioni, divisioni, insufficienze nel partito, nel sindacato, nella cooperazione che hanno minato e infine posto in liquidazione un grande patrimonio politico e sociale. Il fascismo ha vinto rapidamente non solo per gli ingenti finanziamenti, la violenza estrema esercitata e impunita, ma per un crescente, trasversale, consenso. La città nel maggio del 1922 è occupata dalle squadre di Balbo, con 60 mila braccianti, organizzati ed inquadrati, che affidano al fascismo le speranze prima riposte nel socialismo. Nel settembre “L’aratro d’Italia” può trionfalmente scrivere “Ferrara fu il fertile terreno di tutte le ardite innovazioni”. Sul punto non aggiungo altro.

Ho una piccola esperienza di assessore a Ferrara. Elezioni del 1970: Partito Comunista Italiano 45%, Partito Socialista Italiano 10%, Partito Socialista Democratico Italiano 10%, Partito Socialista italiano di Unità proletaria 4%, Partito Repubblicano Italiano 2%, Democrazia Cristiana 20%, Partito Liberale Italiano 5%, Movimento Sociale Italiano 4%. La maggioranza è ora Pci, Psi, Psiup, ma per un confronto con il dato precedente è corretto aggiungere Psdi e Pri. Lo schieramento comunista, repubblicano e dei partiti eredi del vecchio Psiup raccoglie il 71% dei suffragi. La perdita riguarda, comprensibilmente, l’elettorato socialista martoriato dalle scissioni. Già la destra avanza. Non proseguo nel raffronto elettorale. In mezzo secolo, come un termometro, le elezioni misurano, non solo a Ferrara, la crisi della sinistra nonostante illusorie riprese, e l’avanzata della destra, che si radicalizza.

Lelio Basso ha visto bene l’esito della lotta di classe combattuta: “nonostante Marx avesse lanciato il famoso appello ‘proletari di tutti i paesi unitevi’ i proletari se ne sono dimenticati, e i capitalisti se ne sono ricordati… La democrazia appare sotto assedio. Un pugno di manager di immense multinazionali fanno e disfano quello che vogliono. Gli altri miliardi di uomini sono complici o schiavi. Se si rifiutano, nella migliore delle ipotesi, sono emarginati e non contano niente”. Morto nel ’78 non ha fatto in tempo a vedere il seppellimento dei cosiddetto socialismo reale. Non che meritasse altra sorte. Si è sepolto pure l’incontro della socialdemocrazia europea con il popolarismo cattolico, che pure ha dato risultati non spregevoli. Sono finiti i partiti e la politica che li vedeva protagonisti. È finito il Partito, che da noi era principalmente quello comunista.

Adorno, in una conferenza del 1967, ha indicato con precisione le tendenze schiettamente naziste in crescita in Germania. Le ragioni psicologiche, sociali, economiche di ciò sono acutamente analizzate e si individuano gruppi sociali, nelle diverse zone del paese, particolarmente vulnerabili. È un’attenzione che i partiti democratici, in tutta Europa, non hanno avuto. I movimenti fascisti sono piaghe, cicatrici di una democrazia non all’altezza del suo concetto, dice Adorno. Possono però rivelarsi ferite attive e mortali. Sembrano offrire un’alternativa alla tendenza del capitale alla concentrazione, rispondere alla paura di perdere il proprio status di gran parte della popolazione, sanno individuare il necessario capro espiatorio: “In questi movimenti la propaganda costituisce la sostanza della politica”. Il crescere di queste tendenze per Adorno “non è un problema ideologico o psicologico ma altamente reale e politico”. “Si dà il nome di tedesco a tutto ciò che è possibile e immaginabile”. Così oggi: prima gli italiani, gli americani, gli inglesi, i francesi, i polacchi, gli ungheresi, i russi… I nazionalismi rivelano il loro “aspetto demoniaco, autenticamente distruttivo proprio quando non risultano più sostanziali in base alla situazione oggettiva”.

“È noto, ricorda Salvatore Biasco, che la dimensione planetaria dei problemi e dell’orizzonte di azione degli attori economici minino l’azione dello Stato nazionale”. Il potere politico da quaranta anni è retrocesso di fronte a quello economico. La società capitalistica ha “un ambito globale di operazione, privo di rilevanti barriere e dominato dalla pervasività della finanza”. Al servizio della reazione sono dunque i sovranisti-populisti. Il Manifesto di Ventotene, 1940, l’aveva previsto: “Le forze reazionarie hanno uomini e quadri abili ed educati al comando, che si batteranno accanitamente per conservare la loro supremazia. Nel grave momento sapranno presentarsi ben camuffati, si proclameranno amanti della libertà, della pace, del benessere generale, delle classi più povere. Già nel passato abbiamo visto come si siano insinuate dietro i movimenti popolari, e li abbiano paralizzati, deviati, convertiti nel preciso contrario. Senza dubbio saranno la forza più pericolosa con cui si dovranno fare i conti. Il punto sul quale esse cercheranno di far leva sarà la restaurazione dello stato nazionale”.

Il legame tra la disoccupazione di massa e l’affermarsi di movimenti violenti di estrema destra, forieri di regimi brutali e autoritari, non è cessato con la caduta di fascismo e nazismo. In un attacco alla democrazia e alla convivenza civile, che viene da lontano, Ferrara ha mostrato la debolezza della sua tenuta culturale, sociale, politica. I segnali c’erano stati precisi negli anni passati. Sono stati sottovalutati o non si è saputo rispondere. Le responsabilità sono diversamente distribuite, ma riguardano tutti. Abbiamo avuto tutto il tempo. Non c’è stato bisogno di olio di ricino e manganello: tra un aperitivo e l’altro ci siamo bastonati tra noi. Si è visto nelle ultime elezioni. Non c’è stata una proposta all’altezza della sfida, come se l’enormità di quello che succedeva lasciasse increduli del suo esito fatale. Al razzismo della paura si è stancamente replicato, parlando di percezione e di risorse. Si è aggiunta la crisi della Cassa di Risparmio, quasi a dire che nessuna fiducia è ben riposta. E la sfiducia ha colpito, al di là delle responsabilità, chi aveva il governo della città.

C’è una poesia delle grande Emily Dickinson che spiega bene come ciò accada: Sgretolarsi non è Atto di un istante/ Una pausa fondamentale/ I processi di Disgregazione/ Sono Decadimenti organizzati/ – È prima una Ragnatela nell’Anima/ Una Cuticola di Polvere/ Un Tarlo nell’Asse/ Una Ruggine Primordiale -/ La Rovina è metodica – i Diavoli lavorano/ Costanti e lenti -/ Nessuno, si perde in un istante/ Scivolare – è la legge del Crollo -.

Non chiederlo a me. Potrei fermarmi qui. A 12 anni, tra la seconda e la terza media, ha avuto inizio il mio amore, non corrisposto, per la politica. Si discuteva di una legge truffa, secondo la quale il voto dei vincitori avrebbe avuto un premio. C’erano partiti a favore e partiti contro. Io ero contro e lo sono rimasto anche quando sono venute leggi più di quella truffaldine e ancora in vigore. Tra i contrari c’era una formazione mai sentita nominare prima: Unità popolare, “Contro le forche e contro i forchettoni”. Avrei voluto votarla. Non so se l’abbia fatto mio padre. Non l’ho mai chiesto. L’ho sentito però citarla con rispetto. Nel tempo ho avuto modo di conoscere personalmente gli esponenti nazionali e locali di Unità popolare. Non si poteva chiedere di meglio. Alle elezioni del 1953 prese lo 0,6% e nessun seggio. La legge truffa però non passò. Allora.

Sempre l’amico Salvatore Biasco ricorda che porre limiti alla proprietà e all’accumulazione private provoca “reazioni capaci di rimettere in riga le velleità riformiste. In un certo senso, la democrazia è a sovranità limitata nell’ambito del capitalismo”. La sola libertà che conti davvero è quella “del capitale, privato dall’interferenza con altre logiche, o, come si dice, creando condizioni business friendly. Il rischio di non conformarsi alle attese del nuovo consensus è di perdere la base produttiva, e, ancora: trovarsi con la finanza che volta le spalle al paese”. A porre un limite occorrerebbe un potere pubblico non succube e un conflitto sociale e politico all’altezza della sfida. Le prospettive mondiali ed europee non sono incoraggianti. Resta il compito di cambiare i pezzi del motore mantenendolo in moto, ci diceva Riccardo lombardi. Già un rallentamento, come sperimentiamo è sufficiente a gettarci nella disperazione.

Qualcosa si può e si deve fare comunque, anche a livello locale per arrestare un’ondata autoritaria e razzista. L’esperienza di Emilia Romagna Coraggiosa è confortante. C’è un punto dal quale riprendere anche a Ferrara. Condivido – si sarà compreso – l’argomentata convinzione di Giuliano Pontara di trovarci di fronte a vere e proprie tendenze naziste, organizzate e crescenti a livello globale e presenti capillarmente. Vanno contrastate ovunque. Ovunque è utile farlo. Ovunque bisogna praticare la contrapposizione di una visione positiva a orientamenti distruttivi, largamente percepiti come realistici, scontati, inevitabili. Lo schema che Pontara suggerisce è questo: 1 La visione del mondo come teatro di una spietata lotta per la supremazia / Il mondo come teatro delle forze costruttive, 2 Il diritto assoluto del più forte / Il primato della democrazia. 3 Lo svincolamento della politica da ogni vincolo morale / La subordinazione della politica all’etica. 4 L’elitismo / L’umiltà dell’egualitarismo. 5 Il disprezzo per il debole / Aiuto ai deboli per la consapevolezza nelle scelte, decisioni e azioni nelle relazioni personali e nella vita sociale e politica. 6 La glorificazione della violenza / La dissacrazione delle violenza. 7 Il culto dell’obbedienza assoluta / La responsabilità della disobbedienza. 8 Il dogmatismo fanatico / Il fallibilismo.
Ferrara nell’immediato dopoguerra ha conosciuto l’esperienza del Centro di orientamento Sociale. Scopo ne era la partecipazione consapevole dei cittadini verso la costruzione di una comunità costantemente aperta, capace di trasformazione condivisa. Non ebbe sufficiente diffusione nel paese né continuità. In assenza di questa tensione la stessa democrazia rappresentativa corre il rischio di finire senza troppi rimpianti, come già è finita quella liberale con il fascismo. Erano assemblee sentite e partecipate. Nelle forme di allora, e in altre che la tecnica mette a disposizione, sono il luogo da costruire per un confronto tra orientamenti contrapposti. Si parla con facilità di “democrazia diretta”, come se questa potesse scaturire da consultazioni estese, telematicamente assistite. È quella che Marianella Sclavi chiamerebbe “democrazia grezza”, facilmente manipolabile. Occorre una “democrazia informata”, basata e costruita nel mutuo apprendimento. Aggiunta preziosa e necessaria agli strumenti di esercizio della sovranità che la Costituzione già prevede.

Aldo Capitini, il promotore dei Centri di orientamento sociale, nell’ottobre del ’68, il giorno prima del ricovero per l’operazione alla quale non è sopravvissuto, ha scritto a pochi amici una lettera, “La forza preziosa dei piccoli gruppi”. Mi piace riprenderne qualche spunto.

“Le frontiere vanno superate, e la parola ‘straniero’ è da considerare come appartenente al passato. Ogni comunità vive nell’orizzonte di tutti, e perciò non è troppo grande, ed è collegata con le altre federativamente. Ma se vi sono spostamenti di genti, esse non sono da sterminare, ma da accogliere, tenendo pronte strutture e provvedimenti che rendano possibile questa apertura.” Dietro le sue spesse lenti da miope Aldo vedeva lontano e dalla sua lettura traiamo qualche motivo di speranza.

Cento anni fa Eugenio Montale scriveva “Ossi di seppia” pubblicati nel 1925 da Piero Gobetti, prima di morire assassinato dai fascisti. “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, / sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. / Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Se con Capitini possiamo ripetere ciò che non vogliamo, come in quella lettera è scritto, qualche motivo di speranza c’è: “1. non vogliamo che ci sia un sistema che agisca con la violenza fisica sulle persone di origine vicina o lontana; 2. non vogliamo che ci sia un sistema che mantenga (con la violenza) l’inferiorità della povertà di tanti esseri umani; 3. non vogliamo che si possa “manipolare” l’opinione degli altri, diffondere cose false o tendenziose, o privare alcuni esseri della libertà di informazione e di critica; 4. non vogliamo che si amministri e governi ciò che è pubblico senza la costante possibilità del controllo di tutti dal basso”. Anche piccoli e piccolissimi gruppi possono dare un contributo importante, nell’esercizio di “quel potere di tutti che in tanti modi può essere, attivamente e coordinatamente, rafforzato mediante l’incoraggiamento a prender posizione, a controllare, a collegarsi, a formare comunità, a sacrificarsi”.

Allora più efficace si fa il richiamo – per tutti e per taluni in particolare stringente, quanto inosservato – dell’articolo 54 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”. E gli impiegati, con schiena diritta, possono essere aiutati a ricordare di chi sono al servizio, quali che siano gli eletti – magari spergiuri e senza onore – chiamati a funzioni pubbliche: articolo 98, I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione. A me, europeista e federalista, il termine Nazione creava qualche problema finché Dolci mi ha ricordato che significa “ciò che nasce”. È bello essere al servizio di ciò che nasce.


MARESCA DARIO

FAR SENTIRE I CITTADINI COINVOLTI ED ASCOLTATI

Credo che abbiamo perso le elezioni per un insieme di motivi, ciascuno dei quali non sufficiente se preso singolarmente ma che presi tutti insieme hanno determinato il risultato. Ne elenco qualcuno, in ordine sparso e senza pretesa di esaustività.

– le elezioni a Ferrara si sono collocate in un periodo di grande avanzata della destra sovranista in Italia e in molte altre nazioni, nel periodo praticamente di maggior ascesa di Salvini, per cui la Lega aveva un vento in poppa molto molto forte, e le elezioni locali sono sempre più influenzate dalle dinamiche nazionali

– la questione migranti, su cui si basa buona parte del punto precedente: l’equazione migrante=insicurezza è troppo semplice, troppo potente, troppo pervasiva, soprattutto in un contesto di lunga crisi economica e di scarsa fiducia nell’avvenire. Chi fa leva su questo, rinunciando a misurarsi con la complessità della Storia, ha dalla sua il vantaggio dell’istinto sulla ragione.

– la vicenda Carife, sintetizzabile in: tutte le banche prima e tutte le banche dopo in un modo o nell’altro sono state salvate, la Carife no (e le altre tre con lei), con il centrosinistra al governo. Impossibile non pagarlo elettoralmente.

– la questione del quartiere Giardino. Inutile girarci attorno: è un problema di spaccio “ordinario”, nel senso che è comune a molte città e non è né particolarmente esteso né particolarmente efferato, ma che proprio perché ordinario, lo dissi anni fa in tempi non sospetti, sarebbe stata una sconfitta non risolverlo. Anche se in buona parte dipende dalle forze dell’ordine e non dal Comune, anche se tante iniziative sono state prese, anche se la realtà è stata ingigantita dalla Lega e dai giornali, è comunque una sconfitta politica non averlo risolto.

– avere sempre governato localmente, prima la sinistra e poi il centrosinistra, era ormai un fattore di debolezza. Da un lato ci può essere da parte di molti cittadini il gusto di provare il cambiamento, anche perché non ci sono metri di paragone. Dall’altro lato la sinistra che dovrebbe essere una forza innovatrice era diventata per forza di cose una forza di governo, di sistema, più sulla difensiva che sulla proposta.

– nella precedente amministrazione (e mi ci metto dentro come consigliere) abbiamo avuto mancanze sulla comunicazione, sulla capacità di coinvolgimento dei cittadini, sulla capacità di farci sentire vicini ai problemi concreti. Non sempre, non tutti, però su questo fronte abbiamo peccato.

– in fase elettorale non siamo stati capaci di presentare uno schieramento elettorale compatto e che desse un’idea di freschezza e novità, e quanti di noi abbiamo lavorato per arrivarci non siamo riusciti nell’impresa. Le “colpe” sono distribuite tra molti, sia politici sia società civile. Dopodiché alcuni hanno desistito, altri hanno fatto il possibile nello scenario dato. Ma occorreva uno schieramento unito e innovativo, che potesse arginare l’ondata leghista.

– c’è un motivo più di fondo che ci trascineremo a lungo: la destra sovranista crea consenso utilizzando una comunicazione manipolativa della realtà. La comunicazione in politica manipola sempre un po’ la realtà (interessante sarebbe approfondire quale livello di manipolazione si può considerare fisiologico/tollerabile), forse perché la comunicazione stessa manipola sempre la realtà (raccontiamo forse un episodio lavorativo allo stesso modo al capo e alla moglie?). Ma i sovranisti populisti lo fanno senza scrupoli, a volte con ignoranza a volte con malafede. è come giocare una partita contro uno che bara: se non si è disposti a scendere al suo livello è difficile batterlo. Non impossibile però, come si è visto ad esempio in Emilia-Romagna. Quando si dice che dovremmo migliorare la nostra comunicazione e presenza social secondo me si riflette poco sul fatto che la falsa comunicazione su quei terreni ha un vantaggio strutturale.

C’è un elettorato di sinistra da recuperare, che in parte non è andato a votare in parte ha votato Lega? Sì c’è, ma il mio pensiero è che sia quel tipo di elettorato che vota centrosinistra non tanto per il sistema di valori o il modello di società proposti, quanto per riscattare la propria condizione, per avere più diritti, per sperare in un futuro migliore per sé e per i propri figli, più che in un mondo più giusto in sé.
In una fase lunga fase di stagnazione/recessione come quella post 2008 vengono meno le certezze sul futuro (che i nostri figli staranno meglio di noi, che da adulti si raggiunga la stabilità lavorativa, che i soldi in banca siano al sicuro), per molti peggiora o comunque non cresce il livello di benessere, e allora si è meno disponibili sul discorso dei valori e del bene comune, e si cercano più risposte primarie: sicurezza, difesa della propria posizione, stabilità. Su questo terreno, soprattutto se alimentato ad arte dai politici, cresce il rancore, che qualcuno ha definito come lutto per ciò che poteva essere e non è stato. Le promesse implicite che tengono in piedi la società si dimostrano non più mantenibili, e allora si perde fiducia nell’altro, si teme tutto ciò che è diverso, cresce il bisogno di individuare un capro espiatorio e di ribaltare il tavolo.
Mentre la destra rispondeva a questi sentimenti proponendo i capri espiatori e dando la colpa di tutto ai migranti, ai rom, all’Unione Europea, ai 73 anni di sinistra a Ferrara, noi non siamo stati in grado di proporre un modello economico alternativo, di dire come sconfiggere le diseguaglianze, di prospettare un riscatto sociale.
Mentre la destra faceva leva sulla paura, noi non siamo stati in grado di fare leva sulla speranza.

Queste sono anche le cose da cui ripartire: ridare la speranza, proporre soluzioni che migliorino la vita a chi è in difficoltà, indicare con lucidità gli elementi del sistema che creano diseguaglianza, che impoveriscono le famiglie, che creano quelle che il Papa chiama le vittime della cultura dello scarto.
A livello locale poi, in particolare:
– far sentire i cittadini protagonisti, coinvolti, ascoltati. L’autoreferenzialità di cui si parla è dovuta anche a mancanza di canali strutturali di comunicazione e coinvolgimento: assemblee di quartiere, riunioni di partito, incontri al parchetto o nelle frazioni dove però ciò che si discute arrivi attraverso consiglieri comunali e partiti a diventare proposta politica;
– rilanciare un’idea di città che guardi con creatività e speranza al futuro. Ferrara può diventare una città laboratorio su tanti temi, a partire dalle questioni del lavoro, della denatalità e dell’ambiente, su cui proporre soluzioni innovative. Pensiamo ad una riforma del welfare in chiave comunitaria che dia certezze su una rete di assistenza pronta ad intervenire per tutti, ad un progetto per l’economia che dia prospettiva di lavoro e coinvolga il territorio, ad una rivoluzione verde che migliori la qualità dell’aria e della vita;
– dare spazio a personale politico nuovo su cui non si possano scaricare, più o meno giustamente, responsabilità del passato, coinvolgendo tutte quelle persone che si impegnano per la comunità ma che per ora per tante ragioni si tengono (o sono tenute) ai margini dell’attività politica.

Per tutto questo lo spazio politico e sociale c’è. Dovremo però quanto prima lasciarci indietro rancori e divisioni interne al centrosinistra, dovremo forse anche noi smetterla di guardare al passato (e di farlo quasi esclusivamente per recriminare) e metterci di buona volontà a costruire il futuro.


NANNI DAVIDE

PREPARARE UNA NUOVA CLASSE DIRIGENTE

Le elezioni amministrative del 2019 hanno segnato una frattura storica nel panorama politico ferrarese: si è esaurito il ciclo propulsivo delle amministrazioni di sinistra e centrosinistra che aveva gestito il Comune dal dopoguerra in poi. 

Tra i nostri concittadini ha prevalso inequivocabilmente il desiderio di “cambiamento”, slogan agitato come un mantra dagli attuali amministratori leghisti durante una campagna elettorale permanente durata tre anni e tesa ad amplificare il malcontento diffuso in alcuni quartieri della città. Una campagna politica e comunicativa che ha saputo catalizzare l’attenzione dei media ed ha spianato la strada al successo finale delle destre, complici gli errori e le divisioni del campo progressista. 

Non mi dilungherò troppo sulle ragioni, lontane e prossime, della sconfitta elettorale più cocente mai rimediata dalla sinistra nostrana: altri, con analisi ben più autorevoli e circostanziate della mia lo hanno fatto benissimo negli interventi che mi hanno preceduto. Sono noti i fatti che hanno esasperato buona parte dell’elettorato appartenente a quei ceti popolari e di classe media che votavano partiti gravitanti fino a ieri nell’area di governo locale (postcomunisti e postdemocristiani): il degrado al quartiere Giardino e in alcune frazioni, unitamente alla non-gestione del crack Carife, dove la totale subalternità dei vertici locali del Partito Democratico all’allora governo Renzi (escluse poche rare eccezioni, come il sindaco Tagliani e il vicesindaco Maisto) ha impedito una seria pressione a Roma per trovare soluzioni di maggior tutela nei confronti dei piccoli risparmiatori danneggiati dalla malagestione della principale banca locale. Aggiungerei anche la leggerezza con cui si decise di non rimediare alle conseguenze del decreto Calderoli, che nel 2010 eliminò le vecchie circoscrizioni elettive, riducendo i canali di comunicazione diretta tra cittadini e amministrazione comunale: una scelta che, specie nelle frazioni, si è rivelata disastrosa ed ha facilitato l’emersione di demagoghi pronti a strumentalizzare le più elementari richieste di decoro urbano avanzate da residenti che non potevano più contare sull’intervento dei consiglieri di vicinato.

Naturalmente, ci sono anche cause più strettamente “politiche” che hanno origini lontane nel tempo – come ben ha ricordato tra tanti, Fiorenzo Baratelli – che, assieme ai personalismi e alle divisioni ormai radicate nel campo progressista, hanno impedito di presentare un progetto civico di rinnovamento ampiamente condiviso per battere la coalizione di centrodestra a trazione leghista guidata nominalmente da Alan Fabbri, nei fatti da Naomo Lodi.

Spiace constatare che il dibattito online organizzato da Mario Zamorani sia stato, ad oggi, l’unica occasione per discutere di questi temi: la sede naturale di questa discussione, infatti, avrebbero dovuto essere le assemblee di quei partiti e liste civiche che non hanno saputo battere le destre, in primis del Partito Democratico, grande assente nella politica locale da un anno a questa parte se si escludono la presa di posizione di singoli consiglieri comunali.

Il gruppo dirigente locale del Partito Democratico, troppo spesso diviso da inguaribili personalismi interni, non ha saputo o non è riuscito ad elaborare per tempo una strategia di lungo periodo che favorisse la convergenza dell’intero campo progressista su una candidatura civica di spessore capace di catalizzare la volontà di cambiamento ormai diffusa nell’elettorato. Il tentativo compiuto in extremis da Ilaria Baraldi, per quanto generoso, arrivava ormai fuori tempo massimo e venne stoppato mezzo stampa dalla segreteria regionale che, a mio avviso, nei tre anni che precedettero le elezioni avrebbe potuto fare molto di più per evitare una sconfitta ancora evitabile.

Questo però è il passato, ora bisognerebbe avere la serietà e lungimiranza di guardare anche al futuro perché dopo un anno di amministrazione leghista, i ferraresi di “cambiamenti” ne hanno visti davvero pochi nonostante la campagna elettorale permanente della Lega continui a martellare sui social e sul principale quotidiano locale.

In altri tempi si sarebbe detto: che fare? Adesso ce lo chiede anche Mario Zamorani, con sellecito via mail, e noi proviamo a dare qualche risposta…

Partiamo dagli ultimi fatti: il rigoroso dietrofront dell’Amministrazione sull’esternalizzazione dei servizi educativi in due asili comunali, comunicata con appena un giorno di anticipo a famiglie e lavoratori interessati. L’assessore Kusiak aveva preso di petto la questione affermando che “non c’erano alternative possibili”, salvo poi essere sbugiardata in meno di 24 ore dal sindaco Fabbri che ha cercato di placare la polemica sollevata da sindacati e genitori comprensibilmente arrabbiati. È una vicenda che, a mio avviso, riassume bene la totale assenza di idee e capacità amministrative di questa Giunta comunale che naviga a vista cercando di nascondere, dietro alla martellante comunicazione social, l’assenza di un progetto complessivo per il futuro di Ferrara. Si limitano a gestire l’esistente e dare contentini ai loro sostenitori, spesso in modo poco trasparente, ma senza provvedimenti coraggiosi e innovativi per rilanciare il tessuto economico locale faranno poca strada.

Le forze progressiste dovranno mettere in campo un progetto di largo respiro che vada in quella direzione, costruendolo dal basso grazie al coinvolgimento e all’ascolto dei cittadini e di quelle realtà produttive che hanno qualcosa di nuovo da offrire al territorio perché non basterà più parlare con i vertici (sempre gli stessi!) delle solite associazioni di categoria. Questa operazione deve essere propedeutica all’elaborazione politica e alla formazione di una nuova classe dirigente, ringiovanita e capace di intercettare la volontà di cambiamento che tra quattro anni tornerà a presentarsi in una città che sta invecchiando rapidamente, non solo sul piano anagrafico.

Gli incubatori di questa operazione devono essere partiti e liste civiche che dovrebbero superare vecchi rancori, anacronistiche divisioni, personalismi inutili per mettersi davvero al servizio della città e del Bene Comune. Ora più che mai servono dei “costruttori di ponti” capaci di organizzare l’opposizione sociale che emergerà con sempre maggior forza di fronte all’incapacità amministrativa della giunta Fabbri.

Tra quattro anni il centrosinistra dovrà presentarsi unito dietro le insegne di un contenitore civico che sappia dare voce ai cittadini dimenticati nelle frazioni come in centro storico, e dovrà farlo con una candidatura autorevole che non appartenga a quella classe politica che ci ha portati alla sconfitta del 2019. 

Bisogna però dare tempo al tempo e lavorare in questa direzione, senza negare che ad oggi l’unica forza organizzata sul territorio resta quella del Partito Democratico. 

È al suo interno che bisogna riaprire la discussione ed è da quella struttura organizzativa che si deve ripartire per immaginare una forma più agile e flessibile di radicamento territoriale che sappia mettere in comunicazione tutti i potenziali gruppi di pressione presenti a Ferrara: comitati di residenti, associazionismo sportivo e culturale, corpi sociali e terzo settore, imprese innovative.

Mi auguro che ciò avvenga in fretta perché di tempo ne abbiamo già perso abbastanza.


PARON BARBARA

SERVONO PERSONE E IDEE

Nel 2019 il centro sinistra dopo 73 anni perde le elezioni. Le cause, in quest’ultimo anno, sono già state abbondantemente analizzate, riflettute ed esternate da persone molto più esperte e autorevoli di me. A mio avviso e già stato detto tanto, probabilmente troppo, rispetto a quanto accaduto. Ritengo sia più interessante, oltre che decisamente utile, concentrarsi sul punto numero 2

2. Ora, come organizzare un centro sinistra forte, trasversale e ambizioso a Ferrara?

È una risposta molto difficile, nella sua semplicità.

Servono persone e idee. Allora perché questa risposta è considerata difficilmente realizzabile? Provo a spiegare brevemente il mio punto di vista, al limite della banalizzazione, ma almeno ci capiremo.

Perché persone coraggiose che decidano di aiutare, di mettere la propria esperienza a servizio della comunità, non se ne trovano più? Questo è il primo problema. In questi ultimi decenni la Politica è stata sfigurata. Ha perso la sua connotazione e con essa il suo valore. È stata trasformata, da mani diverse, ma tutte egualmente ingiuste quanto crudeli, in qualcosa di cui avere schifo. C’è poi un’aggravante: chi fa politica oggi lo fa a proprio rischio e pericolo. Come se fosse un’attività imprenditoriale. È questo è il secondo grave problema. Dopo tanti anni al servizio della comunità, per chi esce dalla politica non ci sono ammortizzatori, né strutture in grado di riqualificare e reinserire nel mondo del lavoro coloro che hanno lavorato per davvero al servizio della gente persone che, avendo perso professionalità e opportunità personali, si ritrovano ad essere considerati rifiuti della società e per questo vengono abbandonati vicino al cassonetto più vicino in attesa di riciclo o riutilizzo. Con questa situazione così drammaticamente cruda come si fa a proporre ad una qualunque persona di buon senso e di intelligenza media di iniziare un percorso di impegno politico?

Conseguentemente c’è chi (e sono coloro che negli anni sono emersi facendo scalpore sulle pagine dei giornali) stante la situazione, ha fatto della carriera politica la propria carriera individuale, alimentando ancor più la pessima immagine della Politica e oscurando ed umiliando ancor più chi invece lo ha fatto con onestà e dedizione. Se mancano le persone qualificate, mancano ovviamente le idee qualificate e questo chiude quel cerchio che ha creato la classe politica attuale che, ad ogni livello, con le dovute eccezioni, ha perso sia in termini di competenza e merito che di esperienza.

Poiché mi ritengo un Politico, magari non bravo, ma pur sempre un politico sono, ritengo che il mio dovere non sia solo quello di individuare i problemi ma fondamentalmente di proporre delle soluzioni.

Ciò che serve alla Politica, sia Ferrarese, che nazionale che globale è la Politica stessa.

Serve trovare nuove motivazioni per convincere le persone migliori che abbiamo nella società , a mettere le loro intelligenze al servizio della comunità, garantendo loro che non saranno lasciati soli. A questo aveva pensato la Costituzione con la quale i padri fondatori, usciti da un conflitto mondiale devastante, avevano dato una soluzione concreta, creando le giuste condizioni. Si chiamano PARTITI e non sono gironi infernali! L’articolo 49 della costituzione recita” Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

In conclusione cosa serve al centro sinistra? Qualcuno che riesca a mettere insieme nuovamente le persone con le migliori intelligenze e valore umano del nostro territorio affinché possano dare orgogliosamente e serenamente il loro contributo per creare un progetto in grado di affrontare i problemi del quotidiano: dal minimalismo delle buche e dei lampioni, ai grandi progetti infrastrutturali, in un contesto che sia frutto di una strategia di medio lungo periodo, di una visione di sviluppo sociale ma anche economico, in armonia con l’ambiente e il paesaggio.

Servono i moti del terzo millennio, una nuova “primavera dei popoli” in cui la rivoluzione sia rappresentata da questa capacità popolare di tornare a fare politica e riuscire a scegliere orientandosi oltre il semplice interesse individuale, verso il bene più prezioso che abbiamo, il bene comune, l’unico che è in grado di mettere al riparo il futuro dei nostri figli.


PEVERIN STEFANO

PASSATO, PRESENTE E FUTURO. QUALE VISIONE PER I PROGRESSISTI

Il quadro politico nazionale, e, conseguentemente locale, è costruito sulle alleanze e sulla capacità di costruire un progetto di governo capace di catalizzare l’interesse degli attori che saranno i protagonisti ed i destinatari di tali progetti. Bisogna, quindi, essere in grado di costruire quel terreno di confronto che è necessario al compimento di alleanze che siano credibili, e che siano in grado di comunicare agli elettori le proprie visioni.

L’alternanza di potere può risultare fisiologica, qualora essa venga interpretata dai cittadini come visioni alternative di governo della cosa pubblica e dalla dimostrata capacità istituzionale, fatta di competenza, studio, visione e serietà. Purtroppo, a Ferrara così non è stato, nella nostra città, infatti, non si sono evidenziate due diverse culture di governo, ma, sostanzialmente, due modi molto diversi di porsi all’elettorato, da una parte chi, forte dei notevoli risultati amministrativi, forse, non ha compreso il grande malessere che covava tra i cittadini, e, dall’altra la sola capacità di gettare discredito, attraverso campagne di odio a tutto ciò che ha rappresentato il centro sinistra a Ferrara.

In ogni caso le alternanze, per quanto dolorose e, forse, in parte, incomprensibili, devono essere lo stimolo affinchè la parte sconfitta raduni le proprie forze, ed, attraverso l’analisi dei fatti e nuove idee, trovi il modo di ripensarsi e di tracciare un percorso alternativo alle destre che possa essere compreso, anche attraverso il confronto serrato, con tutti i cittadini.

Certo è che quest’atmosfera da guerra civile, questo profondo sentimento di odio e di risentimento verso chiunque sia diverso da noi (come colore della pelle, come stato sociale, come posizione lavorativa ecc) ha radici lontane nel tempo e non è solamente riconducibile ad alcuni errori che le forze di centro sinistra possono aver compiuto negli ultimi anni. Forse, addirittura, questo fenomeno ha origini remote, forse potrebbe ricondursi agli anni ottanta, anni in cui, come paese, avevamo pensato di vivere al di sopra delle nostre reali possibilità, sono gli anni dell’inflazione oltre il 20 %, sono gli anni in cui è iniziato il nostro forte indebitamento pubblico, sono gli anni che, poi, hanno portato a tangentopoli, alle monetine lanciate contro Craxi, ed ad un sostanziale allontanamento degli italiani dalla politica attiva, pensando (a volte a ragion veduta) che essa fosse cosa “sporca” e che fosse abitata da personaggi poco onesti.

Non sto a ripetere la storia del nostro paese degli ultimi quarant’anni, anche per miei, evidenti limiti, ma, forse, quella che definisco mutazione antropologica del genere umano, ha avuto origine proprio in quei tempi che sembrano così lontani. Sono stati anche anni in cui si sono inaugurate nuove stagioni del centro sinistra, anni in cui si è cercato di unire le forze progressiste del nostro paese per dare allo stesso riforme più eque e più socialmente giuste, anni i cui, sotto traccia, cresceva, però, una sorta di rassegnazione che, mascherava quel profondo malessere che si è amplificato dopo la crisi finanziaria ed economica cominciata nel 2008 con il fallimento di Lehman Brothers e di tante banche occidentali. Fallimenti causati da un capitalismo malato che, anziché investire in innovazione, prodotto e capacità di penetrazione, ha ecceduto nella finanziarizzazione, causando, di conseguenza, le grandi crisi aziendali che abbiamo vissuto negli scorsi anni.

In questo contesto e con questi preamboli, si è preparata la sconfitta a Ferrara, anche se, ad aggravare il quadro generale, vi sono anche responsabilità locali che possono spiegare questo profondo trauma per la città.

A)Il nostro territorio lasciato ai margini delle politiche del lavoro e del conseguente sviluppo economico, per la mancanza di investimenti e interventi in infrastrutture che facilitassero lo sviluppo del territorio – B) Come conseguenza di ciò, un alto tasso di disoccupazione e scarsa prospettiva per le giovani generazioni di crearsi un futuro – C) Il fallimento della CARIFE, con conseguente malessere di tutti i risparmiatori ferraresi – D) Tutte le problematiche sulla sicurezza, sia in termini di ordine pubblico che in termini di sensazione di abbandono delle periferie e delle frazioni – E) Grossi problemi del sistema socio-sanitario, causato dalla mancanza di coordinamento tra la medicina territoriale e l’ospedale di Cona – F) Una sostanziale incapacità di comunicazione e divulgazione delle, tante, buone cose che l’amministrazione stava facendo, con conseguente carenza di comunicare alle persone i risultati

Cosa fare, quindi, per recuperare, un rapporto positivo e appeal dai concittadini?

Per prima cosa, ritengo che tutte le forze progressiste che operano sul nostro territorio, dai partiti, ai sindacati, alle associazioni di categoria, alle associazioni di volontariato, dovrebbero ricominciare ad elaborare una visione comune, abbandonando le, ovvie e naturali, differenze, raccogliendo le proprie capacità di elaborazione, senza che vi sia l’impressione che qualcuno voglia prevaricare le idee degli altri.

Per far questo sarà necessario ricomporre le capacità (insite nelle tradizioni del centro sinistra) di confrontarsi con tutte le istanze, saperne ascoltare le motivazioni e costruire, assieme ad esse progetti futuri. Si deve sostenere l’impegno delle giovani generazioni a fare politica attiva, attraverso l’abbandono del pensiero breve (mirato alla risoluzione dei problemi dell’oggi) .

Dobbiamo fare in modo che tutte le problematiche e le fragilità dei territori divengano progettualità future, è, più che mai, necessaria, una visione, ci vogliono sollecitazioni su contenuti e progetti, su temi che sono fondamentali per Ferrara e tutto il nostro paese; il tema del lavoro, come esso sia cambiato negli anni, e in questo periodo di pandemia ( gig economy, smart working ) e su come pensiamo possa essere nel dopo covid 19, il tema della partite IVA che rischiano di divenire i nuovi reietti della società, senza tutele e abbandonati al loro destino; il tema ambientale, che è tema fondamentale per uno sviluppo meno invasivo dei territori e più rispettoso dell’ambiente, senza la prosopopea degli ultimi tempi, in cui, quando si scrive qualsiasi documento si parla di green economy, senza la consapevolezza di cosa essa, veramente, significhi; il tema della sanità, con le problematiche che il covid ha evidenziato come senza un servizio socio-sanitario pubblico, possano nascere situazioni di malasanità.

È necessario, ora più che mai, dare spazio alle competenze, ritornare ad una formazione delle classi dirigenti, che, troppo spesso, vengono reperite attraverso altri canali e non sempre su persone veramente competenti.

Infine sarà necessario modificare le metodologie di comunicazione, comunicando in modo semplice e social, imparare a parlare al cuore delle persone sapendo spegnere quegli impulsi di rabbia, su cui tanta cattiva politica fa perno per conquistare i consensi.


RENGA SIMONETTA

IMMAGINARE IL FUTURO ATTRAVERSO IL PASSATO

L’alternanza al potere è un aspetto fisiologico e imprescindibile di un sistema democratico. Certo c’è ‘alternanza’ e ‘alternanza’: si poteva sperare in una alternanza sì di idee diverse, ma caratterizzata da capacità istituzionale e competenza. Così non è stato. Resta comunque valida l’affermazione iniziale: l’alternanza consente alla parte politica che lascia di ripensarsi, rinnovarsi, re-immaginarsi. I 73 anni di centro-sinistra, durante i quali molto buone cose sono state fatte, restano una base di partenza per migliorare. L’alternanza, in sostanza, deve essere vissuta anche come una opportunità. Con questa premessa provo a rispondere alle domande di Fe-Nice.

La madre di tutte la cause credo sia l’allontanamento della classe politica in generale dalla società civile.

Nel caso specifico di Ferrara penso, inoltre, che alcune questioni abbiano pesato di più di altre: 1. la provincia ferrarese è rimasta ai margini delle politiche economico sociali, nel senso che sono mancati investimenti e interventi infrastrutturali utili allo sviluppo del territorio;2. il (conseguente) alto tasso di disoccupazione nel territorio e le scarse prospettive di lavoro e formazione per i giovani; 3. lo stato del sistema socio-sanitario, sul quale ha molto influito il mancato coordinamento tra medicina territoriale e hub di Cona; 4. la questione della sicurezza, ma non solo in termini di ordine pubblico, ma la mancanza di sicurezza da parte del cittadino a 360 gradi; 5. il malcontento dei piccoli risparmiatori ingenerato dai problemi nella gestione del sistema bancario; 6. una divulgazione/comunicazione poco efficace, incapace di raggiungere le persone, sui risultati raggiunti.

In primo luogo, va ricostruito un rapporto di comunicazione e fiducia con i cittadini, anche attraverso il coinvolgimento diretto della società civile. Bisogna relazionarsi con i movimenti civili di piazza o social di questi ultimi mesi. Si deve incrementare il coinvolgimento dei giovani in politica, lasciandogli maggiore autonomia. I volti della politica locale devono rinnovarsi. Occorre altresì fare rete con l’associazionismo e ascoltarne le istanze. Occorre ripristinare il rapporto di ascolto delle parti sociali, riconfermando la buona pratica del patto per il lavoro. Più in generale bisogna migliorare la capacità di ascolto delle persone e di empatia.

Poi occorre rinnovare radicalmente la progettualità pensata per il territorio. Le fragilità del territorio devono diventare progettualità, spinta propositiva nei confronti del livello regionale. Serve una visione, servono sollecitazioni sui contenuti: per esempio, sul tema immigrazione, sulla tutela dei lavoratori della gig economy e degli smart workers, sulla formazione, sulla società e il mondo del lavoro post-covid, sul ricambio generazionale, sulla costruzione di paesi friendly per i giovani e per i cittadini, sull’ambiente, sulla sicurezza, intesa nell’ampia accezione del ‘potersi fidare/affidare’ ai propri governanti. E questa è una sfida delle competenze. Bisogna focalizzare in maniera più definita gli interessi che si vogliono rappresentare.

Le necessità dei singoli devono essere portate a sistema e il problema che emerge dalle singole istanze va affrontato a livello generale, attraverso interventi uguali per tutti; si deve capire se l’istanza che viene rappresentata fa parte o no di una crepa del sistema che deve essere sanata. Questa operazione è cruciale per l’abbandono delle politiche clientelari e per il rinnovamento delle istituzioni.

Infine, va fatto un lavoro sulla divulgazione, sul rendere noto al pubblico il lavoro che viene fatto: bisogna imparare a parlare semplice e social, occorre saper parlare al cuore delle persone, spegnendo la rabbia priva del filtro dell’intelletto, sulla quale spesso fa perno chi fa cattiva politica.


ROMANI FLAVIO

AGGREGHIAMOCI IN UN PROGETTO COMUNE

Alle elezioni comunali del 2019 abbiamo assistito all’avverarsi della classica “tempesta perfetta”. Una tempesta causata da motivazioni recenti e remote, locali e nazionali.

Una tempesta che aveva dato un segnale preciso e molto forte l’anno prima, quando alle elezioni per il parlamento del 2018 Dario Franceschini, uno dei personaggi politici più conosciuti e di lungo corso del centrosinistra ferrarese, viene sconfitto nel suo collegio da una semisconosciuta rappresentante della Lega. È un duro colpo che arriva per niente inaspettato, dato che il malcontento per tutta una serie di azioni messe in campo negli anni di governo dal centrosinistra avevano provocato un malcontento diffuso e una aperta ostilità che non potevano che portare a questa débâcle.

Basti pensare alle misure simbolo del governo Renzi, il Jobs Act, con l’abolizione dell’articolo 18, simbolo massimo della tutela dei lavoratori spazzato via con estrema faciloneria e superficialità, o alla riforma del sistema scolastico, la cosiddetta Buona Scuola, approvato nonostante le forti voci contrarie che per mesi si sono levate dalla classe degli insegnati, che tradizionalmente facevano parte dell’elettorato di centrosinistra, e rimasti drammaticamente inascoltati. Oltre a questo, un malcontento diffuso e profondo di buona parte del popolo di sinistra per un leader, Matteo Renzi, visto come troppo arrogante e saccente, incapace di ascoltare l’umore della base e che anzi ostenta apertamente il rifiuto a qualsiasi confronto con i corpi sociali intermedi, sindacati in primis, nell’illusione di incarnare il politico perfetto che dialoga direttamente con il suo popolo, popolo che però lo detesta.

A questo, dopo Renzi, va aggiunta come esempio eclatante ma non unico per ciò che riguarda le pessime scelte che un governo progressista non dovrebbe mai fare, la tragica e insensata politica sulla questione dell’immigrazione portata avanti dal ministro dell’Interno Minniti, una politica che strizzava l’occhio all’elettorato di destra, nel tentativo miope di imitare la destra proprio nel campo che veniva considerato il loro cavallo di battaglia, una azione tragica nei suoi effetti sulle persone migranti e ridicola sul piano politico, dato che notoriamente l’elettore fra l’originale e una copia sbiadita sceglie sempre l’originale.

Credo che localmente un errore che è stato fatto sia stato proprio quello di non aver cercato di riparare in qualche modo il rapporto fra eletti ed elettori, un rapporto umiliato e fortemente guastato dai politici e dalle azioni a livello nazionale che poteva forse essere recuperato localmente. Non si è saputo o voluto fare questo tentativo di riparazione, e alla fine gli sbagli clamorosi e l’arroganza percepita a livello nazionale si è riversata sul livello locale. Per molti elettori di centrosinistra il corpo politico locale a cui si è sempre rivolto è apparso, a torto o a ragione, lontano e distaccato dalle problematiche della gente comune, arrogante e sordo a qualsiasi confronto.

In tutta sincerità non vedo errori giganteschi o disastri particolari negli anni in cui Tiziano Tagliani ha guidato il nostro comune. E anzi proprio fra le azioni di Tagliani voglio ricordare i viaggi con la sua auto in piena notte tra Ferrara e Gorino per cercare di dare tranquillitá e un posto sicuro alle ragazze che erano state rifiutate da una rivolta di stampo razzista trascinata dall’attuale vicesindaco pro tempore Nicola Lodi in una delle sue pagliacciate piú infami.

Certo tante cose si potevano fare meglio, e di sbagli ce ne sono stati, come è inevitabile che sia, ma la lista delle buone cose fatte è notevole e la tutto sommato buona amministrazione dell’ultimo decennio rende incomprensibile la disfatta delle elezioni comunali del 2019 se non si tiene conto di altri fattori fra cui una parola ricorrente e scivolosa, onnipresente e piena di sfaccettature, che ha imperversato nel dibattito politico locale negli ultimi anni. E la parola è “percezioni”.

Nell’afa estiva non é importante se il termometro segna 38, ma il fatto che di gradi ne percepisci 50. Cosí in politica le cose buone fatte contano poco se vieni percepito come arrogante e distante, a torto o a ragione. Se a questo aggiungi degli sbagli é inevitabile che vengano ingigantito, e crolla tutto. Compito di una buona classe politica sarebbe fare bene e comunicare bene, con puntualità ed onestá.

E qui veniamo agli avversari di quella campagna elettorale. “Ferrara la rossa” era un boccone troppo importante e gustoso perché la destra e la Lega se lo lasciassero scappare. Dopo decenni ti tentativi andati a vuoto il momento era propizio, e l’impegno da mettere doveva essere il massimo. Hanno cominciato con molto anticipo, almeno tre anni prima, con un martellamento quotidiano senza sosta, con una strategia precisa, studiata nei dettagli, su cui si sono impegnate tantissime persone, dai gregari spargi odio a comando agli strateghi che orchestravano tutto. Un bel po’ di risorse umane e finanziarie. Da dove arrivassero i soldi rimane un mistero, ma questo é un altro discorso. Una macchina che in piccolo funzionava come la piú grande “Bestia” che a livello nazionale ha portato Salvini a diventare ministro dell’Interno, e che a livello locale era, ed é, comandata dal “Morisi de noantri” che é stato poi premiato con la seggiolina di portavoce del sindaco. Questa macchina grandiosa e malefica ha messo in scena per anni, tutti i giorni e anche piú volte al giorno una “caccia al ne**o” spregiudicata e miserevole. Spregiudicata perché basata su balle colossali, menzogne su menzogne, bugie su bugie ripetute milioni di volte. Miserevole perché é passata come uno schiacciasassi sui corpi e sulla vita di persone il cui unico problema era che avevano la pelle scura. Ripetere in continuazione che c’era un’invasione, che le strade sono insicure, che la GAD é peggio del Bronx é stato il solito giochetto della destra, provocare o paventare pericoli per poi proporsi come salvatori. Il martellamento é servito a mettere nella testa della popolazione la percezione di insicurezza e un razzismo strisciante che prima non esisteva. Lo sappiamo benissimo che questa percezione era montata ad arte dai bugiardi che ora stanno governando il Comune, che non esiste nessuna invasione e che due cassonetti ribaltati non sono “una cittá messa a ferro e fuoco” come deliravano i leghisti che adesso stanno in consiglio e che venivano spacciati come gente comune dalle trasmissioni-fogna di Rete4 dove il simpatico vicesindaco era sempre presente. Certamente l’insicurezza era una percezione, installata ad arte dalla propaganda leghista, ma a questa percezione che ha tratto in inganno tantissime persone in buona fede non é saggio rispondere con spocchia. Non fosse altro perché spesso é proprio la percezione rispetto a un candidato o un partito a far scegliere l’elettore in un senso o in un altro, non i programmi e neanche la tua storia di buon amministratore. E va bene rispondere con la forza dei numeri, ma solo questo non puó bastare. Alla macchina spargi-letame della Lega andava contrapposta – da subito – una macchina altrettanto potente ma onesta nella sua comunicazione. Negli anni delle pagliacciate naomiane ci si é limitati a guardarlo fare, a deriderlo anche, senza pensare all’impatto che stava avendo, e questo é stato un grave errore, dato che poi ci siamo trovati sotto elezioni a dover affrontare anche questa montagna completamente disarmati e senza alcun strumento efficace.

Ora, se mettiamo in fila tutto quanto, errori come Jobs Act e decreto Minniti, disaffezione e allontanamento di causate dal renzismo e non solo, disorientamento e debolezza oggettiva del PD a livello sia nazionale che locale, un ministro dell’interno in piena ascesa che sembrava destinato a diventare il padrone del mondo, una macchina di propaganda menzognera micidiale per forza e capacitá pervasiva, e a tutto questo ci aggiungiamo Alan Fabbri, il “leghista comunista” bravo ragazzo che non fa paura, con alle spalle anni di esperienza politica, tutto questo assieme di congiunture si sono incastrate perfettamente e hanno creato una situazione di eccezionale gravitá, la tempesta perfetta appunto.

Credo che dalla nostra parte di errori ce ne siano stati tanti e da tutte le parti, ma l’errore piú grande, il padre di tutti gli errori, quello che a cascata ha provocato tutto il resto di sbagli, sia stato non voler riconoscere la gravitá della situazione e di conseguenza costruire una risposta adeguata. Attenzione, non é che non fosse evidente, anzi tutti la vedevamo da mesi e mesi. Era una situazione eccezionale ed inedita, e a questa bisognava rispondere con modalitá e misure eccezionali ed inedite. Niente di tutto questo é stato fatto. Per mesi e mesi la parte progressista di questa cittá, dal partito piú grosso a quelli piú piccoli, alle organizzazioni ai gruppi e alle singole persone ci si é persi nelle modalitá standard di una macchina pre-elettorale che aveva modi e riti conosciuti, che comprendeva scontri e riunioni, incontri pubblici e gruppetti carbonari, forti slanci ideali, misere vendette incrociate, veti e paletti, personalismi esagerati e grandi idee, un rito conosciuto e collaudato, era la solita rassicurante vecchia macchina che aveva sempre funzionato. In molti si sono cullati nella percezione autoindotta che anche stavolta sarebbe andata bene, che era impossibile che Ferrara decidesse di affidarsi a “quelli lá”, che noi siamo i piú bravi e belli e onesti, il che magari é – forse – anche vero ma evidentemente non é bastato.

Un attento osservatore ha detto secondo me una cosa molto azzeccata, parte del popolo della sinistra era talmente esasperato e sfiduciato che ha voluto dare un segnale preciso, un segnale “che a me fará del male, ma a voi fará malissimo”.

Gaetano Sateriale in queste riflessioni ha scritto che “non sono loro ad aver vinto, siamo noi ad aver perso”. Parole molto vere che vengono confermate dai numeri. E i numeri, pur nella disfatta, ci dicono che no, Ferrara non é diventata né leghista né una cittá di destra. I 37 mila voti ottenuti da Alan Fabbri su 108 mila aventi diritto lo dimostrano, e lo dimostra anche lo scarto tutto sommato non esagerato fra Fabbri e Modonesi, circa 8 mila voti. I numeri ci dicono che con tutta probabilitá i 37 mila di Fabbri sono tutti, ma proprio tutti i votanti su cui puó fare affidamento la destra, dato che é ragionevole pensare che la mobilitazione di chi ha idee di destra é stata capillare e completa vista la posta in gioco e la possibilitá reale di vincere dopo 73 anni. E gli stessi numeri, che confermano una percezione che molti di noi hanno da tempo, ci dicono che c’è un popolo vasto e variegato, che con varie sfumature si sente progressista e di sinistra e che da anni si sente abbandonato, non incluso, non rappresentato in maniera degna e convincente, disilluso e spesso giustamente incazzata.

Questo é il nostro popolo, e dobbiamo trovare il modo per riabbracciarlo.

Ora, come organizzare il centro sinistra a Ferrara?

Non é facile, proprio per niente.

Ci conosciamo credo tutti abbastanza bene per non ammettere che abbiamo tanti difetti. Siamo ipercritici verso noi stessi e ancor di piú verso chi ci sta immediatamente vicino. Siamo sempre prontissimo a dividerci, a scinderci, a sfracellarci in un pulviscolo di correnti e correnti e, gruppi e gruppetti, entitá piccole e piccolissime, singole persone, un pulviscolo anche bellissimo ma senza consistenza. E senza forza.

Questo siamo, e lo sappiamo, inutile girarci intorno.

La strada migliore credo sia di aggregarsi a un progetto comune. Ognuno con la propria intelligenza, i propri pensieri, il proprio talento, con l’impegno di dare solo il meglio per il funzionamento di questo progetto. Partendo da fondamenta essenziali ma solide, e ne metto subito tre: antifascismo, antirazzismo e ambientalismo forte e deciso. Principi molto di base certo, ma che devono essere sempre presenti nell’orientare scelte, modalitá e azioni.

Un progetto che deve partire dell’ascolto delle cittadine e dei cittadini di Ferrara,  per riuscire a capire davvero dove si annidano le fragilità e quali sono davvero i loro bisogni. Ma anche quali sono i loro desideri, e i loro sogni.

Ascoltare, ascoltare e ancora ascoltare.

Da qui si parte per costruire assieme le migliori soluzioni. Costruire assieme significa non innamorarsi solo della propria idea e portarla avanti a tutti i costi uccidendo le idee degli altri, per molti motivi fra cui, semplicemente, che la propria idea potrebbe non essere la migliore, e che il confronto porta sempre vantaggi e soluzioni.

Costruire assieme un “Progetto di cittá” che sia in grado di avere una visione a lungo termine, ma che allo stesso tempo dia risposte e azioni veloci ed efficaci a tutta quella parte di popolazione che é in situazioni di difficoltá, stanare le situazioni sempre piú ampie di fragilità e invertire la rotta.

E per una volta si dovrebbe tentare di partire dalle parti piú periferiche, dalle tante frazioni e territori che circondano il centro e che da troppo tempo sono sempre state considerate “dopo” il centro cittadino. Ferrara é certamente il suo meraviglioso centro storico, ma é anche tutto il forese, un territorio molto esteso che negli anni ha visto la qualitá della vita abbassarsi inesorabilmente, per mille motivi fra cui servizi legati alla mobilitá, alla scuola, alla sanitá sempre piú deboli. Invertire la rotta su questo é necessario e fondamentale, i cittadini che abitano fuori le mura non sono cittadini di serie B. Compito di una buona amministrazione é far si che non si sentano abbandonati, e che non li sfiori neppure il sospetto di essere appunto considerati di serie B.

Dove mettere in moto tutto questo?

Credo che a chiunque sia ovvio che il PD da solo non ce la può fare. E neanche i partiti (tanti) della sinistra ce la possono fare, neanche se si mettono tutti assieme, figuriamoci da soli o in piccole formazioni. La nostra storia é costellata dal partitone a vocazione maggioritaria che fallisce di brutto, e dai partiti piú piccoli con tanta passione ed idee che però non raccolgono abbastanza consenso. Il PD da solo non va da nessuna parte, i partiti più piccoli neanche.

Dobbiamo ricominciare con una casa comune.

Una casa che comprenda tutto ció che sta a sinistra, partiti grandi e piccoli, formazioni politiche e non politiche, gruppi e gruppetti di qualsiasi tipo e provenienza, associazioni e sindacati e singole persone. Una casa di tutte e di tutti, e che sia aperta a chiunque voglia entrare a portare il proprio contributo.

Una casa che non ha un proprietario e tanto meno un padrone, dove chiunque a sinistra possa sentirsi a proprio agio e mai un ospite. Tanto meno un ospite di passaggio.

Per fare questo é necessario spazzare via i vecchi dissidi e le vecchie croste, liberarsi dei personalismi, puntare molto in grande é molto in alto, evitando accuratamente veti, ripicche, piccoli ricatti e tutto quello che ha guastato la sinistra in questi decenni.

Voglia di costruire, di attivarsi e di spendersi tenendo solo il buono che il passato ci puó trasmettere, e immaginando un futuro basato solo sul miglioramento a tutti i livelli del bene comune.

Per fare questo servono molte persone di buona volontà, e anche molto tempo. Il tempo é quello che forse non abbiamo. I quattro anni che restano a questa giunta giá non sono tantissimi, ma spero e credo per il bene di Ferrara che il loro tempo sia molto più breve.

Per questo oltre ad essere bravi dobbiamo essere anche veloci, metterci in cammino con rapiditá, perché il tempo che ci separa dalle prossime comunali potrebbe essere pochissimo.

Sará una strada faticosa e piena di ostacoli, ma sará molto bello percorrerla assieme.


RONCHI ALBERTO

IL CAMBIAMENTO PARTA DAL CONCETTO DI QUALITÀ

Nell’interessante dibattito promosso da Mario Zamorani molti degli intervenuti hanno sottolineato i diversi motivi della storica sconfitta del centro sinistra a Ferrara. Naturalmente non li condivido tutti, ma ritengo che il quadro generale sia emerso chiaramente.
Da parte mia aggiungo alcune osservazioni. Credo che un elemento importante da sottolineare sia quella che io chiamo la “smania di omologazione”. Da molti anni le forze che compongono o hanno composto il centro sinistra e, in particolare la sua componente maggioritaria, il PD, hanno abbandonato una propria visione della società e rincorrono quella di altri. L’ossessione del mitico “centro” ha portato a sposare temi, battaglie, addirittura ideologie, appartenenti alla destra. Liberismo, economicismo, aziendalismo e via di questo passo. Il fenomeno non è stato solo italiano (ricordate il new labour di Tony Blair?), ma nel nostro paese ha assunto proporzioni inedite, probabilmente per le caratteristiche della democrazia italiana rimasta bloccata per 50 anni. Oggi, se escludiamo i toni che hanno la loro importanza, non ci sono differenze sostanziali tra i modelli. Un esempio per tutti, le politiche sull’immigrazione. Lo ius soli non fa un passo avanti, non esistono e non si prevedono canali per entrare legalmente in Italia, i Decreti Salvini sono ancora immutati. E il PD insieme a LEU sono al governo da più di un anno.
A Ferrara, dove il centro sinistra governava da 70 anni, lo smottamento culturale verso la destra è stato inarrestabile. Privatizzazione dei servizi, aziendalizzazione della sanità, ritiro dell’Amministrazione Pubblica dai territori, ecc… Lo dico consapevole di esser stato parte di questa storia e di non essere stato capace di far invertire la rotta.

Negli ultimi 5 anni, poi, il fenomeno ha assunto caratteristiche paradossali. Anche in questo caso è utile riferirsi alle politiche sull’immigrazione. Tiziano Tagliani ha ragione. Lui ha provato a resistere a una concezione declinata soltanto sull’ordine pubblico della presenza di comunità e cittadini stranieri nella nostra città. Dimentica però di ricordare che dopo i fischi al Ministro Franceschini allo stadio, è stato mandato l’esercito a presidiare le strade, sottolineando, di fatto, come l’approccio delle destre al problema fosse quello giusto.

Infine, a conferma del mio ragionamento, certamente schematico, non sì può non sottolineare come imperi nel PD e non solo, una sorta di fatalismo. Non ci sono ragioni evidenti per spiegare una sconfitta storica, ma ci si richiama a un generico “vento di destra” che ha sconvolto l’Europa, l’Italia e, naturalmente, Ferrara. È impressionante che non vi siano stati, a nessun livello, escludendo questa meritevole iniziativa, analisi, dibattiti, interventi su quanto è accaduto e proposte di modifica nelle politiche. Si aspetta il fallimento del centro destra, quasi a voler suggerire ai cittadini che, più o meno, in modo più sobrio e meno gridato, le stesse cose le fa meglio il centro sinistra.

Seguendo lo schema proposto, provo, allora, ad indicare alcune linee di cambiamento, linee che, ovviamente, non sono assolutamente esaustive. Innanzitutto, considerando anche quanto accaduto in questi mesi con l’arrivo della pandemia, occorre spostare il paradigma degli interventi dalla QUANTITÀ alla QUALITÀ. Ci si deve liberare dall’ossessione dei numeri e concentrarsi sul livello dei servizi forniti ai cittadini, che non sono clienti, ma, appunto cittadini. Cultura, turismo, sanità, servizi sociali,ecc. non devono essere misurati su basi economiche, ma sul grado di qualità e soddisfacimento dei bisogni.

Qualche esempio. Se si vuole fare una politica di integrazione del territorio comunale occorre ripensare a nuove forme di decentramento. I cittadini devono trovare l’Amministrazione Pubblica vicina alle loro case. Così come occorre rilanciare il trasporto pubblico con corse anche notturne. Non può essere che interi quartieri siano affidati al solo trasporto privato dopo le 20,00.

Una politica ambientale efficace deve rafforzare fortemente il trasporto ciclabile che deve essere in sicurezza e veloce, come deve ampliare le zone ztl e prevedere grandi nuove aree verdi attrezzate per i più piccoli.

Una politica culturale di qualità deve essere capace di fare distinzioni e non deve essere ossessionata dai biglietti staccati. Servono interventi che non scimmiottino quello che già fanno i privati, ma che siano in grado di differenziare l’offerta con uno sguardo internazionale e non provinciale.

Si potrebbe continuare a lungo. Chiudo sottolineando che tutto questo si può fare rilanciando il protagonismo dell’Amministrazione Pubblica che deve essere in grado di intervenire direttamente. Persino i guardiani europei del patto di stabilità stanno riscoprendo l’efficacia e la necessità di politiche keinesiane, sarebbe tragico se non lo facesse un programma di centro sinistra a Ferrara.


SATERIALE GAETANO

BISOGNA IMMAGINARE UNA FERRARA CHE AFFRONTI E RISOLVA I BISOGNI DEI CITTADINI

Non sono in grado di dire perché abbiamo perso le elezioni. Non ero particolarmente dentro le questioni locali per avere una risposta precisa a questa domanda. È chiaro che non hanno vinto loro quanto piuttosto che abbiamo perso noi. Non so dire i particolari ma quando è così vuol dire che l’elettore non percepisce (in genere da un tempo abbastanza lungo) un messaggio forte per il proprio futuro (e il futuro della città) dall’area politica di riferimento e preferisce il cambiamento a prescindere o il non voto. Può darsi che le liste e i candidati di sinistra non siano riusciti a trasmettere una visione della Ferrara dei prossimi anni adatta alle richieste e ai bisogni dei cittadini. Può anche darsi che “lo scontento” o il “disincanto” verso il centro sinistra risalga a episodi specifici che chi ha vissuto da vicino la realtà cittadina è in grado di individuare con precisione. Io no. Certo il tema della sicurezza (cresciuto anche a livello nazionale) ha influito in maniera, credo, determinante. 

Sul cosa occorre fare per riorganizzare il centro sinistra e tornare a vincere il mio ragionamento è conseguente e speculare. Bisogna ricostruire una visione della Ferrara futura che affronti e risolva i bisogni della popolazione e del territorio che sono (o sono considerati, in politica la differenza è minima) non soddisfatti. Non serve pressoché a nulla rivendicare gli indubbi meriti e successi dell’amministrazione di centro sinistra precedente. (Temo che non sia sufficiente nemmeno centrare il messaggio sulle insufficienze, sui limiti e sulle malefatte dell’attuale amministrazione). Bisogna parlare di cosa si intende fare noi. Detto questo, sui contenuti mi rimetto alle convinzioni dei più attenti e documentati. Si potrebbe proprio partire da qui: dalla condivisione delle priorità programmatiche per la città di Ferrara (e la sua provincia). 

Improvviso una scala di temi cui rispondere date le macro dinamiche demografiche, sociali ed economiche (accentuate dall’emergenza Covid): 

  • la sicurezza (intesa in senso lato: sicurezza in casa e fuori casa)
  • il sistema sanitario da territorializzare maggiormente (fino all’infermiere di quartiere)
  • il lavoro (non solo in altre aree emiliane) a partire dalle risposte ai bisogni dei cittadini
  • l’estensione delle aree pedonali e verdi anche nei quartieri, esperienze di cohousing o senior housing per anziani
  • nuovi spazi sociali
  • trasporti alternativi all’auto personale privata 
  • miglioramento del sistema di raccolta, smaltimento e riciclo dei rifiuti
  • coinvolgimento delle scuole e delle università nell’indagare i bisogni e definire le proposte
  • puntare a essere “città europea della cultura”
  • ricostituire forme di partecipazione e amministrazione decentrata nei quartieri
  • ecc…

STABELLINI DAVIDE

SERVONO PERSONE NUOVE CAPACI DI RICOLLEGARSI COI CITTADINI

La sconfitta alle amministrative  registrata nel 2019 nella città di Ferrara da parte del centro sinistra, è derivata sicuramente dagli orientamenti che nella società da diversi anni a questa parte stanno mutando il quadro politico nazionale.

 Pur tuttavia, vi sono peculiarità locali che hanno determinato l’insuccesso annunciato.  Sicuramente Ferrara città non poteva rimane vincolata dal rapporto politico con il centro sinistra, dal momento in cui, tanti, troppi Comuni della provincia avevano già fatto una scelta diversa che quando è andata bene, si chiamava lista civica ( vedi Comacchio) quando è andata male, abbiamo constatato l’affermazione del centro destra.

Non solo a Ferrara città, l’aver smantellato il sistema delle delegazioni, delle circoscrizioni ha interrotto bruscamente un rapporto con i cittadini.

 Nella crisi generale che investe i partiti, sul piano organizzativo le circoscrizioni rappresentavano l’ultimo baluardo dove poter gestire, mediare, capire, risolvere le questioni che si frapponevano fra il cittadino e l’Amministrazione comunale.

Nella crisi generale d’identità del centro sinistra, si è determinata anche una sorta di supremazia partitica del PD che ha sottovalutato l’importanza di poter gestire una coalizione, facendo venire meno, un rapporto con le forze politiche minori.

 Dentro questo ragionamento, vi è la trasformazione culturale di un partito il PD, che mettendo insieme due culture diverse, quali quella comunista e quella cristiano sociale, non ha saputo far prevalere l’azione rigida ma compromissoria del “ vecchio PCI”,  facendo avanzare sempre più un’idea di convenienza, propria della vecchia “ balena bianca”.

Il laboratorio politico iniziato all’inizio degli anni novanta e la fase politica cittadina degli anni duemila  ha raggiunto il suo traguardo perdendo quel consenso che sembrava per alcuni scontato.

Sul piano amministrativo l’ultima legislatura cittadina si è confrontata con troppo silenzio rispetto alle situazioni macro emerse, ovvero gestione della GAD e la crisi della cassa di risparmio, sperando forse, che il conformismo ferrarese gli potesse dare ragione, invece stavolta non è andata così.

Come ripartire. Ognuno ha la sua opinione  in quanto, dopo 73 anni di governo della città, bisogna riconsiderare il proprio ruolo. Servirà in questo senso come centro sinistra fare uno sforzo importante trovando persone nuove in grado di ricollegarsi e ripacificarsi con i cittadini. Servirà avere un’idea del centro sinistra  che possa andare oltre i singoli partiti ( vista la debolezza degli stessi), servirà iniziare un lavoro tematico e che a caduta, possa coinvolgere i cittadini in primis. Al centro di tutto la partecipazione attiva dei cittadini. Ultima considerazione per poter realizzare questo, servirà recuperare un’idea di coalizione avendo ben presente che  le identità culturali che si ritrovano nell’ambito del centro sinistra, le sensibilità, le visioni culturali sono diverse. Una diversità che invece di infastidire, è cosa importante da mettere a valore.


TAGLIANI TIZIANO

UNA IDEA DI CITTÀ

Mi sono volontariamente sottratto fino ad ora al dibattito sulla ”crisi della sinistra” ferrarese sia perché la difesa d’ufficio non mi appassiona, sia perché essendo divenuta giorno dopo giorno una sequela di rilievi al PD talvolta utile, talaltra meno, penso che esponenti del partito più qualificati di me, alcuni con ruoli di rilievo, altri, assenti anche nella fase delle elezioni, avrebbero dovuto e potuto dire la loro. Io ho detto la mia per diversi anni. 

Mi scuote oggi l’intervento di Federico Varese che stimo molto. I suoi rilievi sono due: il mancato coraggio nella scelta di un candidato civico e la assenza di una idea di città. Non sono d’accordo. 

Il PD dopo la batosta alle politiche ha verificato se vi fosse un candidato di partito con chance di vittoria, e non lo ha trovato, qualche rifiuto e tanta paura.  Pertanto dall’autunno 2018 a gennaio 2019 il PD aveva individuato e lavorato con il candidato  Fulvio Bernabei, una scelta coraggiosa in linea con la necessità palese di “allargare” la platea del consenso.  

Una scelta all’ultimo tramontata ma non per volontà del PD, o per lo meno non solo del PD, appare quanto meno originale che proprio dalla sinistra, la meno convinta di quella candidatura, venga oggi il richiamo alla mancanza di coraggio. Poi ci furono i “civici”, ma questa è già un ‘altra storia: quella della generosa disponibilità a mettersi in gioco degli esponenti della giunta uscente Aldo e Roberta, per i quali era difficile interpretare il “nuovo”.   

Per dire che è mancata una idea di città bisogna scendere dal platonico mondo delle idee e confrontarsi con le “cose”.  

Le cause della sconfitta sarebbero da ricondursi al nuovo ospedale o al Palaspecchi? Strano a dirsi, di fronte ad una idea di città che quei problemi ha obiettivamente risolto e non senza fatica spesso nel silenzio di tanti nostri commentatori.

Le  cause sarebbero da ricondurre al fallimento di CARIFE ? 

Assai probabile, ma avventuroso ricondurne le responsabilità politiche a chi in città, per mesi isolato, si è preso la “ briga e di certo non il gusto” di dire al Governo che fu un errore fare di 4 banche un male comune, certo non un mezzo gaudio.

E’ certo invece che, per chi come il sottoscritto, non ha mai smesso di incontrare i cittadini (non ci sono solo i bar, ci sono anche tribunali, negozi di alimentari, palestre, cinema,  librerie…) risultava palese che l’immigrazione massiccia  e priva di politiche di integrazione stava creando, anche dentro la sinistra, l’associazionismo ed il sindacato stesso un disagio forte, esteso. 

Questo problema reale, magistralmente amplificato dalla stampa locale e dalla comunicazione professionale messa in campo per tempo dalla Lega ne ha fatto “il tema”.  Chi oggi lamenta l’assenza di una politica coerente e decisa del PD, i cui sindaci avevano opinioni a volte opposte, dimentica che questo partito è l’unico con un base popolare e che, proprio perché si “percepiva” l’ampiezza di quel problema fra la gente , è risultato complesso allineare le posizioni. 

Non è bastata né l’animazione culturale in Gad, voluta a sinistra, né l’esercito osteggiato a sinistra.

Sarebbe il caso, in un dibattito sulla sinistra, dirci chiaramente se chi scrive ha perso o guadagnato voti andando a recuperare 6 donne col pulmino dell’ASP, abbandonate sulla Romea dai Carabinieri, dal Prefetto e da Naomo.  Anche questa è idea di città si può certo obiettare in merito , ma non dire che non c’era.

Così come la riqualificazione delle piazze periferiche (Ponte, Revedin) , la realizzazione, dopo anni, dei parcheggi in centro, 140 alloggi di Edilizia residenziale pubblica senza consumo di suolo, la nuova missione affidata a tutti i contenitori culturali cittadini con investimenti per centinaia di milioni sono una idea di città, spesso una parte della sinistra l’ha legittimamente osteggiata, ma questa è cosa diversa dal dire che non c’era.   

In passato si è esternalizzato e non poco dopo innumerevoli infuocati incontri con il personale, i genitori, le rappresentanze sindacali, si sono spiegate le ragioni e raccolti i suggerimenti a difesa del sistema pubblico; oggi si esternalizza “a freddo” il lunedì e poi si fa dietro front il martedì. E dite che ha vinto chi ha una idea di città? 

Si può sostenere poi che il “porta a porta” fosse meglio della “calotta” o che una società in house fosse meglio di Hera, come anche qui una parte della sinistra ha sostenuto pervicacemente, io non lo penso e nessuno mi ha mai convinto sul punto (Forlì per prima),  ma portare i ferraresi alle vette della raccolta differenziata riducendo le tariffe per l’85% dei cittadini è una idea di città. 

Chi ha vinto comunque non ha cambiato neanche una virgola dopo aver suonato la tromba del “paciugo” per anni.

Con Merola e Muzzarelli la città ha proposto alle categorie economiche una forte alleanza territoriale,  il Ministro ci ha messo 80 milioni per un progetto “Ducato Estense”, ognuno invece è andato per suo conto ed oggi Ferrara non conta nulla: né a Ravenna, né a Bologna. Ci fu in proposito una idea di città differente ? me la sono persa, non so se ci fosse a sinistra, certamente oggi non la vedo ed il momento tragico che ci aspetta presupporrebbe invece idee ben chiare.   

Non siamo stati capaci di valorizzare abbastanza il nostro lavoro ? 

Il Meis, le tangenziali, i progetti del bando periferie e la riqualificazione del MOF, le politiche trasporto pubblico con l’abbonamento gratis ai ragazzi e l’estensione della tariffa urbana, gli interventi per la sostenibilità e l’accessibilità della città (prima in Italia), gli studentati al palaspecchi:  è certamente vero. 

Avevamo strumenti inadeguati e nessun sostegno esterno da un PD che ha scoperto la comunicazione con Bonaccini, ma non direi che non ci fosse una idea di città.


VARESE FEDERICO

SERVONO FORZE NUOVE E UN’IDEA DI CITTÀ

Questa mattina ho letto che il PD ferrarese ha preso posizione contro l’accorpamento delle Camere di Commercio di Ferrara e Ravenna. Mi sono chiesto: chi è il PD a Ferrara oggi? Armato di buona volontà, ho cercato sul web la pagina ufficiale del partito. Ho scoperto che il sito www.pdferrara.it non viene aggiornato dal 20 maggio del 2019. L’ultima notizia è una iniziativa elettorale a favore di Aldo Modonesi sindaco. La pagina fotografa una età dell’oro in cui Tagliani è sindaco, Modonesi assessore e Marattin deputato del PD. Questa è l’ultima classe dirigente non di destra che ha governato la città. Perché il PD ha perso le elezioni e si prospettano almeno dieci anni di governo leghista? Il bello di intervenire tardi in questo dibattito promosso da Mario Zamorani è di non dover ripetere le analisi di chi mi ha preceduto. Una per tutti: Alessandra Chiappini, la studiosa che ha diretto per tanti anni con passione e competenza la Biblioteca Ariostea, ex assessore alla pubblica istruzione e alla famiglia. Nel suo testo sono snocciolate molte ragioni della sconfitta: scandalo Coopcostruttori, Cassa di Risparmio (“una ferita ancora sanguinante”), sanità (mancano trecento posti letto), gestione del post-terremoto… Vi consiglio di leggerlo. Aggiungo: Palazzo Specchi, politica museale inadeguata, fino alla crisi del “pattume”. La lista purtroppo è lunga.

L’errore tattico maggiore è stato non aprire a forze nuove. Sono state le liste civiche di sinistra a mobilitare cittadine/i che volevano cambiare la città senza consegnarla alle destre. Fa impressione vedere docenti di fama internazionale come Guido Barbujani e Piero Stefani, architetti come Beatrice Querzoli, giovani studenti e artisti come Arianna Poli e Adam Atik, attivisti come Marianna Alberghini, medici come Lina Pavanelli e tanti altri, disposti a mettersi in gioco per scongiurare la vittoria della destra. La disponibilità di Fulvio Bernabei è stata sprecata. Va detto che diversi esponenti del Pd, come Ilaria Baraldi e Massimo Maisto, avevano capito che bisognava cambiare, ma purtroppo non sono riusciti a produrre una candidatura condivisa e portatrice di novità. Da alcune conversazioni avute durante la campagna elettorale ho tratto l’impressione che il PD preferisse perdere con un candidato organico piuttosto che vincere con un candidato indipendente. Allora non sorprende che l’esito sia stata la sconfitta elettorale. Fa ancora più impressione che il PD ferrarese non abbia promosso una discussione sul risultato elettorale. Il consigliere Dem Bertolasi sul Carlino ha detto che, in assenza di un dibattito, non ha più senso iscriversi a quel partito. Su estense.com Ilaria Baraldi, la quale con grande coerenza si è dimessa da segretaria cittadina dopo la sconfitta, ha descritto “l’inconsistenza identitaria e la confusione organizzativa” del suo partito.

L’errore strategico è stato non avere una idea di città. Dopo la visione, sviluppata negli anni settanta, di “Ferrara città d’arte e di cultura”, bisognava innovare. Quel progetto benemerito nasceva da un dialogo forte tra Italia Nostra, guidata dall’avvocato Paolo Ravenna, l’amministrazione comunale e i dirigenti dei musei e delle istituzioni culturali ferraresi. Il restauro delle mura resta una pietra miliare nella storia della conservazione dei monumenti in Italia. Ma alla lunga quel modello ha prodotto una attenzione esclusiva al centro storico, ad un turismo di giornata, attratto dalle mostre di Palazzo dei Diamanti. Quella stagione, che si è protratta fino al 2019, ha prodotto risultati straordinari–da ultimo la mostra su Ariosto curata dalla Direttrice Pacelli—, ma dopo quarant’anni serviva una nuova visione. Toccava alla politica capire che quel modello andava esteso alla città fuori dalle mura, alla cultura materiale e agricola, ad esempio legando il comune al parco del Delta, una vecchia intuizione di Vittorio Passerini ripresa solo dalla candidata civica Roberta Fusari.

Andare oltre le mura (per ribaltare il titolo di una sezione de Il Romanzo di Ferrara di Giorgio Bassani) sarebbe servito anche a mettere al centro della nuova visione di città il *disagio* delle periferie, incluso il quartiere Giardino, la povertà, lo sfruttamento e le diseguaglianze, questioni cruciali per la sinistra, che invece sono state lasciate alla destra. Come documentato dall’Annuario Statistico Ferrarese, la povertà è cresciuta negli anni di amministrazione del centro-sinistra. Il tema delle aree interne (posto in Italia da Fabrizio Barca) doveva essere centrale anche nella visione della sinistra ferrarese. In campagna elettorale ho proposto di tagliare i costi dei biglietti dell’autobus per i residenti nelle periferie. Mi sono sentito dire che i ferraresi vanno in bicicletta! Le poche conversazioni che ho avuto con gli esponenti della giunta prima delle elezioni erano sempre improntate all’atteggiamento ‘non disturbare il manovratore’.

Il PD non aveva un progetto serio per il Quartiere Giardino: ricordo la proposta del candidato sindaco di tagliare le tasse comunali agli esercenti che aprivano attività in Gad. Credere che tagliare le imposte sia una soluzione a complessi problemi economici e sociali è miope. Fior di economisti hanno dimostrato che gli imprenditori vogliono servizi sociali che funzionino e un ambiente urbano attraente, che invogli i clienti a frequentare un certo luogo. A quel punto sono disposti a pagare le tasse.

Bisognava prendere di petto la paura (fondata o meno) di molti cittadini/e sulla sicurezza. Bisognava “invadere” il quartiere Giardino con iniziative, riunire il consiglio comunale lì ogni mese, come poi ha fatto una volta sola la nuova giunta. Ricordo la stucchevole diatriba sulla criminalità cosiddetta nigeriana a Ferrara: “E’ mafia sì o no?” Quello che importava ai cittadini era recuperare gli spazi pubblici. Serviva un patto per la sicurezza e l’integrazione, sottoscritto da città, forze dell’ordine e comunità immigrate. Ignorare il problema è servito a lasciare che altri lo declinassero in maniera reazionaria.

Cosa fare in futuro? Quello che non si è fatto nel 2019: aprire a forze nuove e costruire una idea di città che parli a chi vive dentro e fuori dalle mura. Aggiornare la pagina web sarebbe comunque un primo passo.


ZAMORANI MARIO

UN MANIFESTO PER IL CENTRO SINISTRA E UN’ASSEMBLEA DEI MILLE

Nel 2019 Ferrara ha registrato uno storico cambio di paradigma con la sconfitta del centro sinistra dopo 73 anni.
Recentemente Romano Prodi parlando di Bologna, vale a dire in un contesto molto meglio organizzato di Ferrara, ha sostenuto: “Se sbagliamo ora, non si recupera per decine di anni. Ci sono dei momenti in cui se ci si distacca dalla storia, non si rientra”.
Naturalmente la sconfitta elettorale ha motivazioni che vengono da lontano e che, credo, i perdenti con grande difficoltà sono in grado di analizzare. In particolare il Pd dovrebbe mettersi in discussione relativamente a un periodo di anni.
Possiamo persino pensare che la sconfitta sia determinata da una crisi iniziata negli anni del “soffrittismo”, quel lungo periodo di intrecci fra affari e politica con un signore assoluto che ha letteralmente desertificato la politica a Ferrara. In buona parte siamo ancora alle conseguenze di quella desertificazione.
Dopo Soffritti, Sateriale vinse le elezioni comunali. La vittoria di Sateriale, per altro, fu frutto di abilità e saggezza di pochi; non metabolizzata da parte della classe dirigente politica. Intorno c’era molto deserto. Sul versante istituzionale Sateriale con il “rinnovamento” ha fatto il possibile per far germogliare il deserto ma la politica da allora non è più stata in grado di sviluppare una classe dirigente all’altezza del compito. Questo aspetto era di pertinenza dei partiti, del partito, non del sindaco.
Da consigliere comunale nel 1999 proposi una commissione comunale di studio, ricerca, approfondimento, analisi sul “soffrittismo” e ricordo che nella Conferenza dei capigruppo allora Franceschini disse che la richiesta era ben argomentata e che a quel punto si doveva aspettare a vedere se il presidente del Consiglio comunale l’avrebbe accettata. Naturalmente fu respinta.
Siamo ancora ad uno stallo che assomiglia a quello di allora e che da lì in buona misura deriva. Il centro sinistra potrà credibilmente guardare al futuro se saprà interrogarsi a fondo sui motivi della sconfitta del 2019. Su quelli recenti e su quelli remoti. Impresa complessa anche per una ipotetica classe dirigente di elevata capacità e consapevolezza.
Abbiamo perso in quanto un numero molto alto di persone ha riconosciuto il gruppo dirigente della città come un’élite fastidiosa, troppo autoreferenziale, antipatica, e da abbattere, mentre molti elettori del centro sinistra non hanno trovato motivi validi per andare a votare.
Mentre il gruppo dirigente ad esempio si impegnava a sviluppare buona cultura dall’alto, per un numero ristretto di utenti, non si accorgeva che si era aperto un abisso di incultura in forma diffusa in tantissime persone, in linea con le percentuali ovunque presenti di analfabeti funzionali e di persone pesantemente disinformate e arrabbiate; spaventate nel loro quotidiano stile di vita. Anche ad essi dobbiamo parlare. 
Il gruppo dirigente, nel tempo, non ha percepito questo distacco (indipendentemente dalla qualità degli atti di governo; qui si sta parlando d’altro) e anzi l’ha accentuato con la sicumera di chi si sente migliore e, quindi, non può perdere. Chi l’ha fatta perdere, pur votando una amalgama impresentabile, aveva buone ragioni soggettive.
Espongo poi alcuni microdettagli. A) Nell’estate 2017 proposi un grande intervento di ascolto degli abitanti della zona Gad con diffusione di molte migliaia di questionari per chiedere loro informazioni e consigli. Rifiutato. B) Nella primavera 2018 con Roberta Fusari esposi al segretario provinciale Pd la proposta della distribuzione di decine di migliaia di questionari per ascoltare le esigenze dei cittadini, sulla base di indicazioni preparate da Daniele Lugli. Rifiutato. C) Nell’estate 2018 lanciai una pubblica raccolta di firme per chiedere primarie di coalizione con regole condivise. Nessun politico di Ferrara firmò, a parte Roberta Fusari che per altro allora era lontana anni luce dall’idea di candidarsi. Rifiutato.
Poi la conclusionata gestione della fase pre elettorale, dove l’assenza di qualunque idea era l’unico tratto evidente. Non si poteva che perdere, per motivazioni remote e per cause attinenti a quella fase.
Ora, come diceva Prodi, in assenza di una rivoluzione di consapevolezza, di analisi approfondita degli errori del passato, di una progettualità che può scaturire solo da una nuova classe dirigente, si rischia di perdere per molti anni.

Credo che Fe abbia essenzialmente bisogno di due cose:

1. un progetto per uno sviluppo socio-economico a breve, medio e lungo termine; anche per rispondere a due traumi recenti: a) un governo della città del tutto inetto; b) i gravi problemi economici indotti dalla pandemia. Serve uno sforzo comune da parte delle forze produttive, sociali, e politiche: temo che possa essere innescato solo dalla politica, che appunto allo stato latita: problema!

2. una politica capace di fare uscire la città dal buco nero nel quale è precipitata (vedi punto a) e b)) e disegnare il futuro; ad opera di un centro sinistra forte, trasversale e ambizioso.

Si tratta di farlo in profondità, a partire dalla ricostruzione di una comunità e del suo saper stare insieme. Una comunità ha senso quando ci si prende cura di sé, ma anche dellaltro e, in una prospettiva aperta, del mondo intero. Oggi come mai prima viviamo iperconnessi e dobbiamo conoscere il legame originario tra lio e laltro. Da ciò deriva quella responsabilità della cura senza la quale la comunità decade velocemente verso il conflitto. Verso lidea di essere superiori o lidea di individuare un nemico da abbattere, cioè verso lidea di una aggressiva campagna elettorale permanente. Per durare nel tempo una comunità deve saper riprodurre la sua memoria collettiva, capace di rafforzare una identità e un legame fra i suoi membri. Si deve ripartire da io, tu, noi, dove noi non può riferirsi ad un gruppo, per quanto esteso esso sia, ma a noi tutti, a tutti i ferraresi. Nel conflitto fra società aperta e società chiusa, dobbiamo aprirci e sempre più connetterci con il territorio, la Regione, lo Stato, l’Unione Europea, lintero mondo.

Solo il centro sinistra può farlo in quanto il centro destra di Ferrara ha la sua identità solo in relazione ad un nemico, non può fare altro che spaccare la comunità.

Il centro sinistra deve riconoscere, oltre che i propri gravi errori, anche le buone ragioni degli altri cittadini che non l’hanno votato e divenire capace di dialogare con loro. E deve fare in modo che questo aspetto diventi patrimonio di tutto il centro sinistra. Deve anche motivare i propri elettori su questo punto, parlo della parte in corsivo.

Credo che si debba partire da persone e non non da partiti; ma anche, ovviamente, non contro i partiti. Credo che il momento attuale ci imponga di essere ambiziosi. Credo nell’importanza decisiva di produrre simboli ben riconoscibili.

Quindi:

1. Presto invito una quindicina di persone, il più possibile rappresentative e trasversali, cui proporrò:

A. scriviamo assieme un Manifesto per il centro sinistra di Ferrara;

B. convochiamo a breve un’Assemblea dei Mille (in parte online e in parte offline, vedremo) per un centro sinistra grande, forte e ambizioso. Poi partiremo con riflessioni e proposte operative di breve, medio e lungo termine per la nostra città.


ZAVAGLI MARCO

SERVE UNA SVOLTA DEL PD DI FERRARA

Non è il centrosinistra ad aver perso le elezioni. È il Partito democratico. Di fronte a questa mia convinzione a prima vista apodittica si celano cause nazionali, storiche, e cause locali, recenti.

Partendo dalle prima, il Partito democratico è nato in funzione antiberlusconiana. Per sconfiggere le destre si è rimasti accecati dalla folle rincorsa verso l’elettorato moderato. Elettorato moderato che non esiste. Altro che Bauman. Qui non si parla nemmeno di corpo liquido. Magari gassoso, volatile.

In questo percorso in cui gli eredi degli eredi del Pci, i Ds, e i cugini di primo grado della Democrazia cristiana, la Margherita, facevano due passi indietro per farne uno in avanti ecco che il Pd è diventato non la casa di tutti. Ma la casa di chiunque.

Ricordo quando, operaio, scesi in piazza nel 2002 per manifestare contro l’abolizione dell’Articolo 18. Ai miei colleghi nelle pause lavoro spiegavo le ragioni di quella protesta. Era semplice, chiaro, lineare come quella garanzia fosse sentita giusta da una parte del mondo produttivo. Quella operaia. Era ancor più chiaro come quella modifica era auspicabile per la parte datoriale. Non è retorica, lo dico perché l’ho vissuto.

Dopo 13 anni, e quasi senza arricciare il naso, il governo Renzi lo superò attraverso il Jobs Act.

Non incancreniamoci su una discussione attorno all’Articolo 18. Ho adottato un esempio estremo per far capire come la base della sinistra non sappia più dove orientarsi. E a perdere la bussola però sono stati i partiti di riferimento. In primis il Pd.

Esagero nel dire che i dem hanno perso la bussola? Ricordiamoci che fu un sindaco Pd, qui da noi, a Codigoro, a minacciare di aumentare le tasse a chi ospitava migranti. Non è un caso che a quel sindaco Forza Nuova abbia offerto la tessera onoraria.

Ricordate Comacchio prima dell’avvento dei Cinque Stelle? L’uomo da battere era l’ex sindaco Pierotti. Pierotti, sostenuto dal Pd, si alleò anche con gli ex missini. Gli iscritti stracciarono le tessere e il carneade Marco Fabbri vinse le elezioni.

A Mesola abbiamo visto un altro sindaco Pd difendere una marcia non autorizzata di 400 persone per allontanare i nomadi dal proprio Comune. A Sant’Agostino componenti del Pd erano a braccetto in giunta con il sindaco di centrodestra Fabrizio Toselli. A Ferrara moderai un dibattito con un giovane dem che vedeva “nell’Anpi posizioni antisemite” e nella Cgil un “interlocutore poco serio e affidabile”.

A livello nazionale la bussola ha ormai perso l’ago da tempo. Vogliamo ricordare Debora Serracchiani che da vicepresidente nazionale disse che “la violenza sessuale è un atto odioso e schifoso sempre, ma più inaccettabile quando è compiuto da chi chiede e ottiene accoglienza”?

Oppure l’ex ministro del lavoro Poletti, per il quale chi è andato all’estero “è bene che stia dove è andato, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi”. O alla ladylike Alessandra Moretti quando, da europarlamentare, insegnava regole di condotta per la buona politica in rosa: “essere belle, brave, intelligenti ed eleganti”.

Facciamo un piccolo sforzo di memoria e andiamo un po’ indietro con gli anni. Ecco Paola Binetti, uscita da tempo dal Pd ma pienamente nei suoi ranghi quando considerò che era “meglio il cilicio dei tacchi a spillo”. Come dimenticarsi poi di Alessia Morani, ex vicecapogruppo Pd alla Camera, secondo la quale “chi è a reddito zero, evidentemente, nella sua vita precedente non ha combinato granché”.

O ancora il senatore Stefano Esposito che evangelizzava da Palazzo Madama sulla strage di migranti nel Mediterraneo: “Alcune ong ideologicamente pensano solo a salvare vite umane: noi non possiamo permettercelo”. Agghiacciante poi Patrizia Prestipino, del dipartimento mamme: “Se uno vuole continuare la nostra razza, è chiaro che bisogna iniziare a dare un sostegno concreto alle mamme e alle famiglie. Altrimenti si rischia l’estinzione tra un po’ in Italia”.
In Calabria, in provincia di Cosenza, c’era una giunta Pd che proponeva l’intitolazione di una via a Pino Rauti.

Pensiamo infine che le uniche vittorie sbandierate dal cosiddetto centrosinistra negli ultimi anni si chiamano jobs act e gestione delle migrazioni sotto la mano di Minniti. E il cerchio si chiude.

Non è un caso che in più occasioni, quando mi venne chiesto cosa avevo apprezzato delle giunte precedenti, risposi con il sostengo alla famiglia Aldrovandi di Sateriale che si schierò contro l’allora questore Elio Graziano e, per quanto riguarda i mandati di Tagliani, lo scontro con il Coisp, l’omaggio alla principessa dei gitani e l’aiuto alle ragazze respinte dalle barricate a Gorino per trovare un alloggio di notte.

Tutte cose che non creano certo consenso di questi tempi. Ma magari aiutano a ricordare da dove sono partite le grandi tradizioni delle ideologie del secolo scorso confluite nel Pd.

Venendo agli errori locali e recenti, credo che già questo dibattito sia un errore. O comunque non utile per riavvicinare i cittadini. La stragrande maggioranza dei nomi scelti ha avuto anni per proporre idee e soluzioni. E con quelle idee e soluzioni oggi siamo qui a chiederci perché il centrosinistra ha perso. Anche il fatto di essere scelti per dare un contributo non mi sembra una – perdonate il bisticcio di parole – scelta azzeccata. Mi rallegro almeno per la presenza di giovani capaci come Arianna Poli ed Elia Cusinati (mi perdonino altri che ancora non conosco).

Scendendo nel concreto, le ultime elezioni comunali sono sì state perse del Pd. Ma anche vinte dalla Lega. La Lega ha giocato benissimo le tante carte che aveva. A livello di comunicazione (propaganda) ha messo in piedi una vera e propria macchina da guerra. Ha raccolto, anche con metodi “antichi” quali banchetti e porta a porta, accoliti e simpatizzanti. Poi ha iniziato la campagna elettorale quattro anni prima. Con Naomo, ancora perfetto sconosciuto (non alle cancellerie dei tribunali) che denunciava di essere vittima di minacce o attentati piromani al suo tappetino condominiale.

Il Pd non ha saputo rispondere in maniera adeguata. E quando lo ha fatto ha sempre sbagliato mira. Chi mi ha preceduto ha già parlato di percezioni soggettive, atteggiamenti poco popolari, promesse mancate come il referendum sulla geotermia. Mi permetto di aggiungere qualche balla sul pronto soccorso in Corso Giovecca e il vizio di dare una poltrona ad alzata di mano. Non è un’accusa senza fondamento. Nel discorso di insediamento l’allora neo segretario provinciale Paolo Calvano, annunciando un nuovo corso del partito, disse che “è ora di smettere di dare una poltrona solo perché uno protesta”. Ora le poltrone sono finite. Anzi, non ci sono più.

Grande errore strategico è stato anche quello di bloccare dall’alto l’allora segretaria comunale Ilaria Baraldi, che stava cercando di formare una colazione attorno a un candidato non di partito. Di fatto è stato scomunicato il buon lavoro che stava facendo Peggiore ancora la scelta – non per la qualità della persona – di imporre come candidato sindaco l’assessore alla sicurezza uscente. Come prestare il fianco all’arma più acuminata che aveva la destra.

A tutto questo aggiungiamo il decreto del governo Renzi che ha creato 32mila famiglie azzerate e il gioco è fatto.

Come organizzare un centro sinistra forte, trasversale e ambizioso a Ferrara? Partendo da quel poco che c’è. Il Pd è in crisi, anche economica. Serve un segretario provinciale e soprattutto comunale che dia una svolta giovane (scusate la banalità), effervescente e magari anche di palese opposizione a quello che è la destra oggi. Qualità imprescindibile è che sia capace di trovare, subito, domani stesso, una figura che possa coagulare attorno a sé più anime possibili del centrosinistra e della società civile.

Serve una squadra attorno a lui che sappia stare in strada ma anche sui social, dove ormai purtroppo si combattono le battaglie del convincimento e della demonizzazione dell’avversario.

Mi fermo qui. Mi sembra già troppo anche solo sognarlo.


ZANIRATO MASSIMO

COSTRUIRE UNA NUOVA RETE CHE SOSTENGA E DIFFONDA NUOVI PROGRAMMI E NUOVE PROPOSTE

Nel 2019 il centrosinistra perde nettamente le elezioni sia nel comune di Ferrara sia in altri comuni della provincia (Lagosanto, Copparo, Cento). Le cause sono, a mio avviso,  molteplici e schematicamente riconducibili a due piani: uno nazionale e uno locale.

Sul piano nazionale l’allora Segretario del PD Matteo Renzi,  divenuto presidente del Consiglio fu interprete della politica dell’autosufficienza del suo partito che in molti casi anche locali, si trasformò in autoreferenzialità. Fautore della “disintermediazione”,  ha interrotto tutti i rapporti con i corpi intermedi. 

A tutto ciò vanno aggiunte le politiche neoliberiste, in particolare sulle riforme del lavoro, che hanno aumentato il precariato suddividendo il lavoro tra più persone (i dati ISTAT misurano le persone occupate, ma non le ore lavorate)

Queste politiche e metodi hanno avuto riflessi ed emulatori anche a livello locale, che hanno influito sull’esito delle elezioni amministrative. 

Sarebbe un grave errore non considerare anche le responsabilità e le posizioni a volte discordanti e incomprensibili all’interno dello stesso  centrosinistra. Una per tutte quella su CARIFE!

La decisione del governo, di cui anche il ministro Franceschini faceva parte, di anticipare la normativa sul  cosiddetto “bail in”, azzerando in un battibaleno il valore delle azioni Carife, ha avuto gli effetti che tutti conosciamo. 

A ciò va aggiunto la pervicacia con la quale l’On. Marattin, al contrario del Sindaco Tagliani, ha difeso tale scelta facendo ricadere sul PD (e quindi buona parte del centrosinistra) le colpe del “fallimento della banca”.

A mio avviso non si è riusciti a far comprendere all’opinione pubblica che Carife era già praticamente fallita. 

Causa del fallimento non è  stata la politica; la responsabilità è da imputare a coloro (più o meno sempre gli stessi) che per anni hanno amministrato quella banca. 

Alla  politica e al  centrosinistra casomai va attribuita la responsabilità, al contrario di ciò che è successo ad altri istituti di credito, di non averle dato la possibilità di salvarsi, quando esisteva la possibilità.

Strettamente allacciato all’argomento Carife, c’è il tema del mancato  sviluppo economico di questo territorio.

Non si commetta l’errore di attribuire alla mancanza di un istituto bancario legato al territorio lo sviluppo di questa provincia in quanto, i dati socio economici (al di là degli effetti Covid-19 che saranno devastanti) sono i peggiori della regione da sempre; ossia da prima del crack Carife. 

La principale causa del mancato sviluppo è da imputare alla carenza infrastrutturale, accanto alla quale va segnalato un problema di gruppo dirigente locale che occupava (a rotazione ) i ruoli apicali di CCIAA,  Carife  e della sua Fondazione, mantenendo per anni una sorta di “area territoriale protetta”,  che non ha mai favorito veramente l’insediamento di imprese che dall’esterno avrebbero potuto stabilirsi nel nostro territorio.

Di ciò, l’unica colpa che la politica ha avuto è stata quella di non denunciare con forza questo modo di operare. Forse perché le cospicue erogazioni della Fondazione volte a favorire l’arte, le attività culturali, la ricerca, la salute pubblica, il volontariato ecc, permettevano anche agli EE.LL. di promuovere iniziative culturali risparmiando sui bilanci.

Sul versante della sicurezza, la destra ha ingannato gli elettori. Attribuire ad una amministrazione comunale la colpa dell’ aumento della criminalità, è stato il più grande imbroglio fatto ai cittadini, in quanto è assolutamente evidente che i compiti assegnati dalla legge alla  polizia municipale non sono  gli stessi attribuiti alle forze dell’ordine (polizia e carabinieri); però continuare a sottovalutare il  fenomeno definendo le paure dei cittadini come  banali “percezioni”, ha offerto alla destra un terreno sul quale incentrare la campagna elettorale equiparando l’immigrazione alla criminalità. 

La città capoluogo ha dati socioeconomici in linea con gli altri capoluoghi di provincia regionali. Non lo stesso si può dire del resto della provincia o delle stesse frazioni cittadine che si sono sentite abbandonate  dalle scelte della politica.

E’ difficile pensare che la politica e le relative alleanze nazionali non abbiano ripercussioni sulla politica locale, ma al tempo stesso il centrosinistra ferrarese deve ritornare a giocare un ruolo da protagonista con idee, facce nuove, un nuovo modo di comunicare, uno o più luoghi dove ritornare a confrontarsi per redigere un programma che non sia la sommatoria di posizioni diverse. 

Non ci si può presentare agli elettori con idee e valori troppo differenti, ma costruire una alleanza larga (con chi ci sta) che condivida un progetto per il territorio concreto e realizzabile su: ambiente, salute, sviluppo economico, rete di protezione sociale, programmazione territoriale, formazione ecc.

Ritengo sia giusto fare esperienza degli errori fatti, ma non si può andare avanti continuando ad avere la tesa rivolta all’indietro. 

I 71 possono fornire spunti e riflessioni sulle quali trovare una condivisione, ma successivamente le idee e i programmi vanno confrontati ed implementati con i cittadini nei luoghi di aggregazione non solo virtuali, al fine di costruire una nuova rete che sostenga e diffonda i nuovi programmi e le nuove proposte. 

4 anni non sono molti, bisogna partire ora!